CDC #63- Il peso della Storia: In Darkness

Dice che una volta visto uno li hai visti tutti. In questo senso Schindler's List tende ad essere un compendio più che sufficiente per un argomento certamente importante, ma spesso appiattito dalla retorica e appesantito dalla ripetizione.
Non è che ci sia gran che da dire oltre quello che già esiste. Letteratura e cinema hanno attinto a piene mai dalla tragedia della Shoah, tanto da convincermi a tenermene alla larga.
Poi arriva Defiance e ti mostra come, in realtà, di storie da raccontare su quei tempi ce ne siano ancora molte. Tutte diverse. Tutte significative. Un incentivo a tornarenei primi anni quartanta della disperata Europa. Uno sprone per capire ancora una volta quanto in basso si possa cadere con la scusa della guerra.
Per trovarsi davanti In Darkness

Un gruppo di ebrei di Leopoli in fuga dai rastrellamenti nazisti cerca rifugio nelle fogne. Qui incontra un paio di operai della manutenzione che, sotto compenso, proverà a a tenerli nascosti.
Doversi nascondere dove la gente del piano di sopra seppellesice i propri scarti biologici dev'essere un'esperienza terrificante. Una realtà che la regista Holland cerca di farci respirare attraverso il buio pesto, l'alto utilizzo di ratti e il suono melmoso dei passi.
Una condizione così umiliante da convincere qualcuno che il campo di concentramento sia meglio. Ma anche una situazione che mette alla prova la resistenza e l'attaccamento alla vita di persone che nulla di male hanno fatto. L'abitudine ai topi della bambina, che ad un certo punto li sposta prendendoli in mano, è un ottimo corrispettivo per indicare come, anche nei casi più estremi, l'essere umano sa abituarsi a tutto. Persino a una vita letteralmente immersa nella merda.
E' una storia toccante quella messa in scena qui, perché ancora una volta ci ricorda quanto mentalmente instabile sia l'umanità tutta.
Una pellicola che pare costruita per tenere il pubblico avvinghiato alla sedia, sempre sospeso tra il rifiuto della situazione che vede, la repellenza delle fogne e il desiderio che tutto possa finire in fretta per questi disgraziati e coloro i quali tentano di tenerli vivi.
Solo che non erano quelle le intenzioni della signora Holland.
Intendiamoci, l'argomento è spinoso e la scelta di trattarlo con i guanti è assai rispettabile. Quindi Holland asciuga tutto, togliendo ogni forma d'intrattenimento dalla sua opera, lasciando che a parlare siano inquadrature scure con telecamera fissa, sgocciolare d'acqua putrida e linee di dialogo sovente convenzionali.
Una decisione che ci sta, ma che porta con se alcuni problemi. La noia innanzitutto: In Darkness è un macigno insostenibile che (ed è la prima volta che succede da decenni) mi ha costretto a sospendere al visione per riprenderla in un secondo momento.
Poi la retorica. Holland non fa poi molto per distaccarsi da un certo manierismo, se si esclude l'operaio che inizialmente prende soldi. Del resto l'unico spiraglio di un racconto scritto con i nazisti cattivi da una parte e gli ebrei innocenti e perseguitati dall'altra, è offerto proprio da chi sta nel mezzo. La mia impressione è che proprio li si poteva lavorare di più. Lo spazio per un approccio un po' più intimo con Leopold Socha c'era.
Poi l'assoluta mancanza di colonna sonora, la dilatazione delle sequenze, l'azione tutta fuori campo, tutto concorre all'impressione di film anti spettacolare, atto a reiterare un messaggio senza alcun filtro estetico.
Dura una vita sto lavoro, inutile far finta di niente. E sono due ore che si muovono lentissime, indipendentemente dalla forza dell'argomento di cui si parla.

E' sempre molto difficile stabilire quanto un film sulle deportazioni debba essere onesto e gelido, piuttosto che arricchirsi con qualcosa di esteticamente rilevante.
Certo, i più estremisti potrebbero sostenere che anche una singola concessione allo spettacolo finisca per svilire i fatti, trasformando una tragedia enorme in un baraccone collinare.
Tuttavia l'approccio intransigente di Holland rischia di non portare troppa acqua al mulino della Storia.
Perché usare solamente lacrime e urla autoritarie, canti di bimbi (momento in cui ho staccato la prima volta) e tutta la retorica classica di quel modo di raccontare non funziona più. Ci sono già tanti testi e pellicole a farlo, spesso in modo molto più efficace di quanto visto qui.
Per quanto impopolare possa essere la mia opinione, sono convinto che non basti un argomento importante per creare una grande storia.
Poi oh. Magari sbaglio.
Ma chissenefrega.
Ciao.

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