CDC #59- La critica cinematografica di Virzì- Notti Magiche
Dev'esserci un accordo non
scritto: tutti i registi di valore, prima o poi, devono mettere in
scena una riflessione sul mondo del cinema. Sarà che lo conoscono
troppo bene. Sarà che vogliono prendersi in giro. Sarà che
ritengono opportuno offrire alla gentaglia come noi un monito per non
mitizzare quel covo di serpi. Sarà perché ti amo.
Persino Fellini, ai suoi
tempi, costruì uno dei più grandi capolavori della storia
illustrando il processo creativo che stava alla base della sua opera.
Ma il mondo è andato
avanti e per le suggestioni oniriche non pare esserci più spazio.
Così ecco Virzì, uno di quelli grossi al giorno d'oggi, gettare uno
sguardo cinico e disincantato su un ambiente che pare capace
solamente di succhiare energie fresche per mantenere in vita vecchi
ruderi saccenti.
E chissà che le Notti
Magiche non siano state scelte con qualche intento autobiografico.
Fuori da un bar si sta
guardando la disgraziata semifinale tra Italia e Argentina. Nel bel
mezzo di un variegato assortimento di imprecazioni e tra una generale
indifferenza per tutto ciò che non abbia uno sfondo verde, un'auto
precipita nel Tevere. E' un altro caso per quel tizio che faceva
Classe Di Ferro.
Sulle prime Notti Magiche
pare orientarsi verso il noir, un genere che Virzì ha già fatto
capire di saper manovrare nel Capitale Umano. Ma nemmeno il tempo di
accoccolarsi sulla poltrona e godersi lo spettacolo che la trama
cambia registro, buttandoci addosso la storia di formazione di tre
aspiranti sceneggiatori alle prese con i primi passi nel mondo del
cinema.
Tra personaggi bizzarri e
avvenimenti grotteschi, la storia ci mostra questi tre giovanissimi
premiati a un concorso prestigioso, durante il loro primo approccio
con i grandi maestri (o presunti tali) della settima arte italiana.
Ne viene fuori un ritratto spietato di un microcosmo sregolato,
approfittatore, corrotto e qualsiasi aggettivo pessimo possa venirvi
in mente. Truffatori e farabutti lottano come moderni dinosauri per
mantenere saldo il controllo di un mondo che stanno disintegrando,
mentre i tre ingenui ventenni si schiantano contro un muro di gomma
eterno e immobile.
Abbastanza chiaro come
messaggio. Condivisibile persino, visto che in questo Paese tutto
pare andare in questa direzione. E' il modo di veicolarlo che mi
lascia perplesso.
Partiamo dalla cosa più
semplice e meno grave: le Notti Magiche del titolo. Le partite di
quel mondiale furono eventi totalizzanti in quel periodo, lo ricordo
bene. Virzì prova a utilizzarle per scandire i tempi del suo
racconto, ma per come sono state implementate, poteva benissimo farne
a meno. L'ambientazione, al di la delle macchine da scrivere al posto
dei PC e di qualche gag sui primi telefoni cellulari, non ha alcun
peso nello svolgimento della trama. Sarà che forse il 1990 non era
poi così diverso da oggi, ma non ho sentito in alcun modo il fascino
della ricostruzione storica e non ho visto in nessuna scena elementi
che mi facessero pensare che certe cose potessero accadere solo li.
Ma ammetto che ciò
potrebbe dipendere dalla mia personale sensibilità. Io l'epoca l'ho
vissuta e per me i tempi sono cambiati un giorno alla volta. Ci sta
che un millennial (scusate per questo termine da vomito) veda un
mondo totalmente alieno al suo.
Infatti, se il problema
fosse solo questo ci passerei sopra senza fiatare. E' che i guai del
film non finiscono qui. Anzi.
Innanzitutto non si
racconta niente. Va beh, direte, c'è la denuncia a un mondo
ipocrita. Ci sta come interpretazione, ma anche sti cazzi, se mi
perdonate il termine ricercato.
I personaggi portati in
scena dal regista livornese sono per lo più caricature esagerate di
stereotipi ben precisi. Così precisi che mi viene l'idea che Virzì
(o chi per lui in fase di sceneggiatura) abbia conosciuto davvero
elementi simili a quelli qui raccontati e si sia preso la briga di
prenderli in giro davanti a tutti.
Il fatto è che io, come
buona parte degli spettatori, non faccio parte di quella cricca li.
Quindi non è che mi vien tanta voglia di ridere. Magari negli
ambienti frequentati da Vrizì ci si spancia, mica dico di no. Ma noi
in sala... eh.
Per di più il tutto è
messo all'interno di una storia pallosetta. Vedere 'sti tre
personaggi che si muovono coi loro faldoni e i loro problemi in mezzo
alla Roma del 1990 non crea nessuna intimità con il film. Forse
perché almeno due di loro soffrono dello stesso problema di tutti
gli altri. Sono fatti di lati precisi, sovraccaricati dagli schemi
imposti loro dalla scrittura e costruiti in modo da offrire sempre il
fianco all'unico brillante della comitiva. Guarda caso il tipo che
arriva dalla Toscana operaia che sembra un cazzone ma nasconde la
sensibilità di un piccolo genio.
Davvero pensavano che
questo fosse un modo sottile di cantarsela?
Poi, attori bolognesi con
l'accento romanesco, un finale fuori contesto con il carabiniere che
spiega ai tre ragazzi i principi di una buona storia, l'anticlimax
durante la quale Virzì sembra quasi suggerici di stare lontani dal
mondo del cinema perché falso e umiliante (mentre stiamo guardando
un film. Ma di cosa diavolo stiamo parlando?). Insomma, fate largo
che non c'è niente da vedere, tanto per usare una formula cara al
tizio di Classe Di Ferro.
Ammetto di non essere
stato mai un seguace particolarmente accanito del regista livornese.
Escluso il Capitale Umano, secondo me magnifico ma poco amato dai
veri fan, raramente sono stato capace di trovare un film di Virzì
che mi sia piaciuto per davvero.
Questo tuttavia è il meno
riuscito tra tutti. Non arriva mai al punto, non sfrutta
l'ambientazione secondo le potenzialità della stessa, il lato di
denuncia è troppo specifico per essere apprezzato dal pubblico, la
commedia non è divertente e il noir si trasforma in mera scusa e
culmina con una soluzione deludente.
Davvero, io non so proprio
trovare un appiglio per consigliarvelo.
Infatti mi sa che vi
saluterò.
Ciao.
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