CDC #39- Battaglie regali (ammiccatina)- Hunger Games
Partendo da Maze Runner e passando per
Divergent, mi sono beccato quasi tutto l'universo distopico young
adult che ha caratterizzato gli anni 10. Ho visto primi capitoli di
saghe senza infamia e senza lode. Storielle capaci di intrattenere
si, ma in certi momenti anche di raschiare il barattolo della noia.
Prodotti dimenticabilissimi per chi,
come me, ha probabilmente già scollinato. Ma comunque, tra una messa in piega e un simbolismo farlocco, nulla per cui valesse davvero la pena scomodare i
santi del calendario.
Poi, però, mi è capitato per le mani
Hunger Games, padre spirituale del sottogenere (o almeno di
quest'ultimo rilancio) e chiacchieratissimo film capace di lanciare
la carriera di J-La.
Beh, signori. Non me lo aspettavo.
Hunger Games ha rappresentato una
discreta sorpresa. E' vero che nella distopia qui presentata
risuonano echi di Battle Royale e dell'Uomo In Fuga. Ma il punto non
è quello.
Il fatto è che, pur essendo nell'anima
un film young-adult (basta vedere l'età dei protagonisti per
rendersene conto), Hunger Games non rinuncia a qualche riflessione un
filetto più profonda nella messa in scena, cosa che lo rende
appetibile anche a chi è uscito dal target, come il qui presente.
L'accusa al mondo dello spettacolo e
all'apparenza a tutti i costi è ben radicata nello sviluppo del
racconto e si intreccia bene con l'ambientazione post-bellica che,
diciamolo, è quantomeno un classico del genere.
Ma quello che più mi ha convinto nella
stesura della trama è come non si sia inserita una simbologia
forzata e didascalica, come mi è capitato di vedere altrove.
Piuttosto qui i sottotesti sono stati finemente amalgamati a una
storia di affermazione e presa di coscienza scorrevole, leggibile su
di un paio di livelli se si vuole, oppure semplicemente capace di
offrire intrattenimento se ci si sente meglio così.
Certo, di difetti Hunger Games se ne
porta dietro in discrete quantità. Per esempio ho avuto
l'impressione che il film non sapesse mai in che modo affrontare i
suoi passaggi più cruenti.
La storia richiede il massacro di
diversi tra ragazzi e bambini. La telecamera cerca di restare dentro
queste situazioni ma il regista non affonda mai il colpo tentando di
evitare che la violenza si mangi il dramma.
E' che di gente qui ce né una marea e
affezionarsi a qualcuno è altamente difficile. Il che è limitante
proprio per quel lato drammatico al quale la pellicola sembra tenere
così tanto.
Questo sbilanciamento emotivo mi ha
fatto provare una sensazione di potenziale inespresso elevatissima e
la presenza dei grossi calibri, quali Woody Harrelson, Donald
Sutherland o Stanley Tucci, non fa altro che amplificare il rammarico
per qualcosa che poteva essere e invece non è.
Vero, il progetto è stato pensato per
divenire una saga, quindi magari nei prossimi capitoli qualcosa di
più questi personaggi potrebbero anche offrire. Ma nel frattempo
l'idea di fauna bidimensionale si è presa il mio corpo e temo mi
servirà un esorcista per liberarmene.
Poi c'è la gestione del ritmo.
Scostante per la maggior parte del film, non sempre riesce a
costruire la giusta tensione rischiando seriamente di tirare fuori
dalla dispensa quel barattolo di noia che, in fin dei conti, questo
film non si merita.
Perché è innegabile che qui non
manchino elementi di pregio. Sarebbe stato semplice inguainare
Lawrence in una tutina sexy per richiamare orde di adolescenti
ingrifati in sala. Invece si è preferito donare alla battaglia dei
tributi un aspetto realistico, in modo da mettere in evidenza la
lotta per la sopravvivenza più che lo spettacolo fine a se stesso.
Una scelta alla Bear Grylls, se vogliamo, che premia il contrasto con
l'aspetto ludico che gli Hunger Games hanno per la gente di Capitol
City e il desiderio di morte che gli abitanti della città provano
nei confronti dei combattenti.
Mi ha convinto anche quella sorta di
accettazione che tributi e popolo dei distretti nutrono per il
rituale dei giochi. L'idea di evento crudele ma inevitabile va a
correggere la scrittura un po' seghettata dei motivi “storici”
che giustificano questi giochi. E anche la banalità con la quale è
stato disegnato il ruolo del presidente del nuovo stato (povero
Sutherland).
Altra menzione la vorrei proporre per
le musiche. Decisamente strane, raramente pompose, ma anche
incredibilmente efficaci e in alcuni punti quasi ipnotiche per come
sono state legate alle immagini.
Insomma, dopo averlo visto, non sono
per nulla sorpreso del successo di Hunger Games e della sua capacità
di dare linfa a un filone in seguito fin troppo abusato.
Pur con tutti i suoi limiti, l'opera di
Gary Ross si mette in luce per una solidità che, onestamente, non mi
aspettavo. Forse non poterà la distopia a un nuovo livello questo
film, ma almeno due orette abbondanti ve le fa passare senza la
sensazione di aver buttato via il vostro tempo.
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