Frustrazioni videoludiche #3- Lifeless Planet
Sono un videogiocatore. Magari non
assiduo come un tempo, ma seguo questa industria da molti, anni e un
periodo come quello che stiamo vivendo oggi non mi pare di averlo mai
vissuto.
Ovunque mi giri mi sembra di vedere
solamente seguiti, remake, remaster o reboot di titoli già
esistenti, e, più in generale, una nostalgia del passato talmente
forte da ostruire il passaggio alle novità.
C'è da capirle le case distributrici;
attualmente creare un prodotto di qualità prevede costi da grande
produzione cinematografica e mancare il bersaglio può causare
capitomboli rumorosi e potenzialmente fatali. Per cui è meglio
adagiarsi sulle sicurezze e adattarsi a un pubblico forse troppo
pigro nel gestire i propri gusti. I grandi del mainstream videoludico
ragionano così è c'è poco da fare.
Tuttavia non tutto è perduto. Esiste
un luogo dello spirito dove qualcosa si muove. Si chiama mercato
indie e spesso, se si vuole un prodotto originale e coraggioso, è
proprio quello il luogo in cui cercare.
Certo, l'offerta proveniente da quel
tipo di universo è colma di pregi ma anche di molti difetti. Capita
di trovarsi di fronte a piccoli capolavori, indubbiamente, che
lasciano stupiti dalle capacità nascoste nel sottobosco digitale. Ma
esistono anche opere strane, dalle premesse interessanti magari, ma
limitate in molti, troppi aspetti.
E, quasi a farlo apposta, questo è
proprio il caso di:
In Lifeless Planet prendiamo i
controlli di un astronauta naufrago in un pianeta apparentemente
privo di vita. Il nostro compito pare essere quello di recuperare gli
altri membri dell'equipaggio e cercare un sistema per sopravvivere in
un mondo ostile.
La forza di questo gioco sta nel
lasciarci su un deserto vicino al modulo di atterraggio, senza
fornirci nessuna indicazione su ciò che bisogna fare. Gli ampi spazi
intorno a noi suggeriscono un'avventura di stampo esplorativo,
inserita in un contesto vuoto, che denota una certa personalità da
parte degli sviluppatori.
Ma non è il caso di emozionarsi troppo
per queste premesse. Ben presto, infatti, questo lavoro inizia a
mostrarsi per ciò che davvero è: l'impostazione a tunnel emerge
prepotente mentre si avanza, smorzando subito il piacere della
ricerca e guidandoci, anche attraverso riferimenti visivi, da un
punto all'altro dei livelli senza invogliarci mai al setaccio
approfondito dell'ambiente.
Questo non è un male di per se. Questo
tipo di struttura si rivela anche indovinata in giochi appositamente
studiati per lei. Qui però non funziona a dovere. L'assenza di un
vero livello di difficoltà non compensa la struttura lineare del
gioco, riducendo le sfide al minimo e limitando la nostra esperienza
a un continuo saltellare da un punto all'altro delle mappe, immersi
in un mondo per lo più anonimo.
Per di più, i veri problemi che
l'esperienza ci pone sono legati a una costruzione non perfetta dei
livelli (con piattaforme male allineate, rocce sporgenti non sempre
utilizzabili e addirittura muri invisibili) piuttosto che a uno
studio approfondito degli stessi.
Del resto è un prodotto creato grazie
a una campagna di Kickstarter. Il basso budget a disposizione degli
sviluppatori in realtà spiega molte delle ingenuità tecniche qui
presenti.
L'aspetto grafico è da gioco uscito
almeno quindici anni fa, con modelli rigidissimi e textures ridotte
al minimo indispensabile. Senza contare l'irritante effetto pop up
che in qualche occasione fa scomparire l'intero scenario davanti ai
nostri occhi.
Tuttavia nulla di ciò sarebbe troppo
grave, se l'opera riuscisse a portare i suoi pregi intatti fino alla
fine.
Giocato in buona parte sull'atmosfera
di desolazione che inizialmente è capace di restituire, questo
lavoro finisce per offrire continuamente le stesse meccaniche,
facendoci dimenticare l'intrigante scelta narrativa messa sul tavolo
in origine.
Finisce così che mancanza di sfida e
ripetitività tolgono mordente a una trama che, per la verità, non
appare nemmeno troppo solida o coinvolgente. Gli sviluppatori hanno
scelto di svelare i temi del loro racconto attraverso il progresso
stesso dell'avventura, mantenendo il mistero ma esponendosi a qualche
rischio. E, alla fine della fiera, non sono riusciti a costruire,
almeno per quanto mi riguarda, una vicenda sufficientemente
interessante. C'è un vago sentimento ambientalista, una leggera
riflessione sull'arroganza dell'uomo e una storia d'amore tormentata
lasciata sullo sfondo (e che compare piuttosto casualmente). Nulla di
fondamentale.
Peccato, perché l'idea di partenza
poteva anche essere fonte di un'esperienza più profonda. E invece,
probabilmente, esisteva solo quella e ben pochi mezzi per svilupparla
approfonditamente.
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