Storia romanzata di un capolavoro #2.

Avete mai visto 24 Hour Party People? Se la risposta è si ricorderete certamente la scena durante la quale i Sex Pistols tengono un concerto a Manchester davanti a una ventina di disgraziati e capirete subito il senso di questo post.
Se invece non avete vissuto questa esperienza e magari siete anche degli esteti raffinati, beh, forse è il momento di fare due chiacchiere.
Gli anni 70 per voi sono il regno degli strumentisti sopraffini, così maniacali nella cura del dettaglio. Gente capace di esplorare ogni sonorità offerta dal rock e tradurla in pezzi da quindici minuti ed oltre.
Per voi associare la parola capolavoro a Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols rischia di essere un esercizio urticante.
Intendiamoci, capisco benissimo il vostro stato d'animo. Anni di evoluzione musicale buttati al macero da un disco suonato male, prodotto peggio e sovrastato da una voce soave come un concerto di gessetti su una lavagna.
Però, a volte, i pregi di un'opera stanno qualche strato sotto la semplice fruizione della stessa.
Era l'autunno del 1976 quando la voce sgraziata di Johnny Rotten reclamava l'anarchia per il regno unito. I suoi occhi spiritati si accesero su una nazione stagnante, in difficoltà economica e sociale, alla quale i governanti applicavano rimedi persino più sanguinosi dei mali che la affliggevano.
Fu un terremoto al quale nessuno riuscì a dare un senso. La politica organizzata non faceva breccia nei cuori dei simpatizzanti dei Pistols e l'establishment li temeva (anche se, va detto, in modo piuttosto blando, visto che chi vive troppo in alto non riesce a sentire l'odore di merda che sale dalla strada).
Chi li additava come teppisti, chi come sbandati, chi come anime perdute. Questo esercito di capelli colorati e visi insanguinati dal pogo sregolato sembrava non piacere a nessuno. Eppure è cresciuto fino a diventare cultura di riferimento.
Certo, il punk non l'hanno inventato i Pistols e, a dirla tutta, non è nemmeno nato in Inghilterra. Anzi, a fare i precisi, gli stessi Pistols altro non erano che un'operazione commerciale. Una boy band creata dal genio del marketing Malcom Mclaren e dall'allora moglie, la stilista in divenire Vivienne Westwood.
Dunque quale fu, alla luce di ciò, il loro merito? Senza Never Mind The Bollocks, il punk sarebbe probabilmente rimasto relegato a sottocultura: uno di quei virus fastidiosi ma gestibili con qualche aspirina, nell'attesa che se ne vadano da soli.
L'avvento dei Pistols trasformò un fastidioso malanno stagionale in una febbre acuta, capace di sconvolgere il fisico della già mal messa Inghilterra, di portare la rabbia in superficie, di mettere a disposizione di una generazione disorientata un fuoco con il quale scaldarsi. Ci si scaldarono in parecchi in effetti.
Come spesso succede con le aggressioni febbrili violente, però, tutto ciò durò il tempo di un respiro.
La potenza dello showbusinnes prosciugò l'aggressività del gruppo e lo portò verso una drammatica fine. Stanchezza, abbandoni, morte; si sa come finiscono queste storie.
Il punk si normalizzò. La politica riuscì ad assorbirne una parte. L'estetica caratteristica divenne eccessiva trasformandosi in folklore. Lo stile tornò buono per i film post apocalittici e per i costumi di carnevale. Il fuoco si spense.
Ma tutto questo accadde decine di anni fa, mentre i settanta lasciavano spazio agli ottanta. Quindi l'eco dello sguardo laser di Johnny Rotten dovrebbe essersi ormai spento. E invece no.
Il fascino di questo disco (l'unico dei Pistols, va ricordato) è ancora inalterato perché risiede in un lascito fatto interamente di energia.
Grazie ai suoni deformi di questi 4/5 ragazzi, molti giovani hanno capito di poter prendere una chitarra in mano e divertirsi.
I supergruppi sono sicuramente un godimento per l'ascolto, ma sono modelli inarrivabili per i più. Gente di un altro pianeta impossibile da emulare. I Pistols invece sono li. Basta avere qualcosa da dire o un po' di bile da travasare ed il gioco è fatto. E' il rock'n'roll che torna alle origini: semplice, diretto, immediato.
In molti hanno iniziato a violentare uno strumento sulle note dei Pistols, sono sicuro di questo. Tanti saranno rimasti li, qualcuno avrà smesso, altri ancora avranno messo su qualche band per divertimento. Pochi, forse pochissimi, da li si sono evoluti fino a diventare grandi musicisti. Un numero magari piccolissimo. Ma comunque un numero più alto di zero.
Incredibile quanto un disco così distruttivo abbia contribuito allo sviluppo della creatività. Basta pensare a quei venti disgraziati andati a vederli a Manchester nel 76: l'energia della serata li aiutò non poco a diventare personaggi rilevanti del panorama musicale mondiale. Magari adesso vorreste sapere chi sono. Non sarò io a dirvelo. Guardatevi il film piuttosto, che vi farete un gran favore.
Poi magari tornate qui e mi dite cosa ne pensate. O magari no, decidete voi. Intanto ciao.

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