Lo spettatore #214: La morale di quegli anni: Il Signore Delle Formiche (2022)

Questa è la storia di un processo fasullo, imbastito da una società che si è aggrappata agli appigli legali per formulare un giudizio morale sulle azioni di un uomo. Un racconto che fotografa lo spirito di un tempo ormai superato dai decenni, anche se ho come la sensazione che così diversi, in fondo, non siamo diventati.


Il Signore Delle Formiche è un film difficile da prendere, diviso com'è in due blocchi ben distinti che mi hanno restituito sensazioni completamente diverse tra loro.
Perché, ve lo voglio dire fuori dai denti, durante la prima ora di visione sono stato tentato più volte di spegnere tutto quanto e dedicarmi ad altro. In questo periodo dilatato Amelio racconta la storia d'amore tra il protagonista e il suo bello in maniera talmente convenzionale da impedire qualsiasi forma di immedesimazione.
Ovvio, comprendo il senso dell'operazione, non ci vuole un genio per farlo. Tuttavia l'andamento zuccherato e la pregnanza di dialoghi così artificiali da diventare insostenibili, rendono le prestazioni intense di Lo Cascio, Anna Caterina Antonacci e Gina Rovere totalmente ininfluenti.
Il peso dello schermo si sente tutto perché ogni cosa è artefatta e la distanza con ciò che appare in video è siderale.
Tutto questo serve a stabilire con nettezza chi siano i buoni e chi i cattivi di questa vicenda, perché Amelio non vuole sfumature. Il suo è un progetto di denuncia ai danni della classe dirigente e della morale di quegli anni. Ma probabilmente non solo di quegli anni.

Poi però inizia il processo e la patina viene spazzata via da un ritmo più svelto. Non di molto, ma sufficiente al tono di un racconto come questo.
Una grossa mano in tal senso la da il cambio del punto di vista. Se prima a mostrarci gli eventi era palesemente il filtro del regista, qui si passa attraverso gli occhi di Ennio Scribani, interpretato da un Elio Germano in versione extra lusso.
Lo Scribani messo in scena qui è un personaggio ambiguo, ottimo interprete di una cultura nuova, che si chiede il senso di ciò che sta avvenendo in tribunale e se non sia ora di finirla di nascondersi dietro una morale che le nuove generazioni sentono superata.
Così, in realtà, la seconda metà del film finisce per parlare di noi, del nostro modo di intendere le cose e della brama di conservare uno status quo in cui è facile erigersi dalla parte del giusto. Ci sono sfumature diverse durante il processo, meno nette. Perché restano i benpensanti arroccati dietro i testi sacri, ma anche l'imputato mostra tutta l'arroganza di una classe di intellettuali per nulla interessati a farsi comprendere e che perciò non sono capaci di rendere universali i loro messaggi.

Bello il contrasto tra le madri in questa vicenda, entrambe a loro modo coraggiose, forti e disposte a tutto, anche se su parti opposte della barricata e con mezzi molto diversi.
L'invasata di Antonacci è pressoché perfetta, talmente imbevuta di cristianità e interessata al pensiero del buon vicinato, da arrivare a distruggere il figlio pur di tenere alta la sua nomea di timorata. L'altra, la splendida Gina Rovere ancora in gran forma, dal carattere così possente da arrivare a consolare gli attivisti dopo la sentenza, in un atto cinematograficamente vistoso, va detto, ma significativo.
Poi c'è la prova di Leonardo Maltese, quasi trasparente durante la prima metà del film, ma poi ottimo nel restituire il disagio di un uomo praticamente disintegrato nella sua essenza.
Naturalmente c'è un bel po' di didascalia nel film, non potevo aspettarmi nulla di diverso. Amelio ha una sua opinione ci tiene a farla uscire dalla pellicola, talvolta attraverso inquadrature stucchevoli o qualche omaggio ai suoi eroi politici. Ma va bene, posso buttare giù anche questa.
Quello che però non riesco a digerire è la prima ora. Con un approccio diverso non avrei esitato a inserire Il Signore Delle Formiche tra le opere che mi piacerebbe rivedere tra qualche tempo. Così invece faccio fatica a dire che il film nella mi abbia convinto e a consigliarne la visione.
Un vero peccato.



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