CDC #65- Quando Carpenter mandò tutti a quel paese- Fuga Da Los Angeles

Mi piace Carpenter. Molto. Eppure non sono ancora riuscito a vedere tutti i suoi film. Cosa volete, spesso mi è mancata l'opportunità (non è che li diano così di frequente, dopotutto). Ma con Fuga Da Los Angeles no. Quello mi sono sempre rifiutato di affrontarlo.
Dai Gionni, cosa fai? Iena (Snake) Plisken, il tuo personaggio più iconico! Quello che si poneva come antieroe del cinema muscolare, prima ancora che arrivassero gli eroi tutti bandiere a stelle e strisce. Con quei colori poi.
Davvero credevo di non potercela fare.
Fino a ieri sera almeno.
Perché le mancanze vanno corrette. Quindi ecco tornare Iena (Snake), di nuovo alle prese con una missione di recupero dentro un carcere a cielo aperto. Sedici anni dopo aver espugnato New York il nostro (anti) eroe torna comodo al governo vagamente fascistoide di Peter Fonda per prendere la classica arma fine di mondo caduta in mani terroristiche.
Che poi, mettersi a fare confronti tra 1997 e questo ci porterebbe molto fuori strada. Intanto perché l'oscura New York costruita nel 1980 per quel filmettino là era un luogo di una cupezza estrema, con poco spazio per l'alleggerimento comico e tanto per l'ultra violenza. Poi perché qui giochiamo un'altra partita.
Fuga da LA è pesantemente minato da un comparto FX alquanto bizzarro, con sovrapposizioni ed effetti CGI decisamente vicini al cartone animato non proprio ben disegnato.
Poi c'è quella messa in scena tutta sgargiante, che rafforza l'impressione di trovarci di fronte a qualcosa di diverso. Lo stesso Iena è lui e non è lui. Pare persino esagerato nel suo falso cinismo. Così come la spalla comica Buscemi, a tratti addirittura invadente.
C'è poco sangue. La violenza è coreografata come in certi western della prima ora. Ci sono sospensioni di incredulità un pochino troppo spinte.
Che interesse avrebbe il governo ultra conservatore a fornire tra i rifornimenti anche la benzina per le auto, la birra per i bar e lo smalto per le unghie?
Come? Dite che li hanno portati i rivoluzionari di Sendero Luminoso? Mah, a me pare un passaggio mentale di troppo per dei dettagli così insignificanti.
Qualcosa non mi torna.
Anche perché Carpenter è Carpenter. Il ritmo del film fila come una sinfonia. Ci toglie personaggi che paiono decisivi con azzeccata brutalità e non ci consente mai di distrarre lo sguardo da questa sua orgia colorata e stramba.
Vuoi vedere che me l'ha fatta il vecchio John?
Mi sa di si, perché la pellicola, pur presentando il protagonista e il soggetto dell'altra storica Fuga, in realtà funziona meglio come aggiornamento di un altro grande classico: Essi Vivono.
Ricorderete tutti il sistema quasi didascalico che il carpentiere utilizzava per veicolare il suo messaggio all'epoca. Gli bastarono un paio di occhiali da sole per rivelare il piano segreto del governo rettiliano. Quello fu un urlo piuttosto potente verso una classe dominante che lo schifava. Il modo più creativo disponibile per sputare un faccia a un periodo di merda che lo vedeva ripiombare nell'indipendenza del cinema a basso budget.
Qui si reitera lo stesso concetto, con in più un sonoro “andate a cagare” finale che chiude il cerchio da parte di un pensatore ancora combattivo ma sostanzialmente rassegnato.
Se il Plisken originale era l'anti-eroe carpenteriano per eccellenza, in questa nuova incarnazione è proprio Carpenter in persona. Certo, con la faccia e i muscoli di Kurt Russel, ma la sostanza è quella li.
Carpenter ne ha per tutti. Dal governo catto-fascista (anche se forse il pres non è proprio cattolico, ma fatemela passare), alla nazione che lo accetta barattando la libertà con il puritanesimo estremo, smascherando la tendenza di un certo perbenismo salutista.
Ma si scaglia anche contro i rivoluzionari, capaci di farsi abbindolare dal potere che li fa abbandonare il sentiero idealista per trasformarsi in piccoli imperatori, con tanto di spettacolino gladiatorio.
Che dire dell'idealismo stesso, rappresentato dalla giovane Utopia, figlia ingenua e sacrificabile del presidente, che da il via a una guerra senza nemmeno sapere bene cosa fa e con chi.
E' noto che Carpenter non viva un rapporto idilliaco con la collina. Eccolo quindi ambientare la sua storia in una Los Angeles isolata (letteralmente), dove vizi e depravazioni vengono vissuti all'estremo. Un posto in preda all'anarchia, dove effettivamente ognuno può decidere di essere ciò che vuole, ma che, senza regole, diventa anche mortalmente pericoloso (chiedere a Valeria Golino).
Perché secondo Carpenter l'umanità non è capace di vivere in pace.
Insomma, se a livello di forma questo Fuga non vale il predecessore in quanto ad atmosfere e gusto, a livello di sostanza mette giù una sentenza senza appello.
Carpenter vuole trasformare uno dei suoi miti in un baraccone assurdo. Perché questa è Los Angeles innanzitutto. Ma soprattutto perché, sedici anni dopo quella danza, il ballerino ha perso ogni fiducia.
Iena è vecchio e stanco e di star dietro a ipotetiche rivoluzioni non ne ha più voglia. Perché tutto cambia perché niente cambi, come dicevano in Sicilia. E allora Carpenter-Snake spegne tutto e vaffanculo.
La vera morale della favola è che con Carpenter non si sbaglia mai, stupido io a dubitarne.
Ma ho rimediato. Nel caso non l'aveste fatto, vedete di sbrigarvi anche voi.
Saluti

Commenti

  1. Ho visto questo e il suo predecessore ormai troppissimo tempo fa e ammetto di ricordarlo poco o nulla.
    Urge recupero!

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    1. Assolutamente. Anche perché voglio leggere cosa ne pensi.

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