I cimeli del cinema #12- Warcraft

Tanto vale essere chiari fin da subito: non sono un grande estimatore del genere fantasy. Secondo il mio punto di vista, al di la di quello che potrebbe suggerire il nome, le rigide regole sulle quali questa narrativa è basata tendono a far assomigliare troppo le varie storie tra loro.
Non è che provo antipatia per gli spadoni o per le creature fantastiche che popolano questi universi, tuttavia ho la sensazione che Il Signore Degli Anelli e quella telenovela in costume chiamata Game Of Thrones, possano rappresentare un compendio sufficiente per non dover andare oltre.
Sarò limitato, ma a me pare che gli orchi siano sempre dei bruti che pensano solo a menare le mani, i nani facciano comunque i carpentieri, gli elfi vivano eternamente in simbiosi con la natura e gli umani rappresentino nient'altro che l'aspetto irrazionale delle vicende. Almeno quasi sempre, Tyron Lannister è una discreta eccezione.
Automaticamente, quindi, mi sono avvicinato a questo film pieno di circospezione. Anzi, l'unico vero motivo che mi ha spinto a guardarlo, in fin dei conti, è la presenza di Duncan Jones a capo del carrozzone. Il già figlio di David Bowie mi stupì parecchio con i suoi primi due lavori: Moon e Source Code sono stati due colpi da maestro che tendo a ricordare con gioia bagnata.
L'occasione di vedere il giovane maestro alla prova con qualcosa di completamente diverso si presentava troppo ghiotta per lasciarmela scappare. Quindi ecco a voi:
Liberamente ispirato all'omonimo videogioco marca Blizzard, Warcraft racconta la storia di una guerra. Gli orchi costretti a emigrare dalla loro terra ormai arida invadono, in cerca di una nuova casa, il mondo degli umani. Ciò può avvenire grazie al Vil, magia potentissima e oscura, che si nutre di vita per alimentare la propria forza. Ma il Vil richiede grossi sacrifici per essere padroneggiato e nessuno parrebbe in grado di manipolarlo.
Gli eroi di Azeroth (la terra degli umani appunto, ma non solo) saranno quindi chiamati a fronteggiare questa minaccia terribile nel tentativo di preservare le loro terre e mantenere la pace universale che ormai vi regna.
Detta così potrebbe sembrare la solita vicenda raccontata duemila milioni di volte nel corso dei secoli. E in parte lo è.
Il racconto trae origine da un universo esistente e deve comunque cercare di mantenerne intatte le colonne portanti. Quindi le varie classi sono dotate di attitudini particolari, la magia è un elemento trainante, la figura dell'eroe è fondamentale nell'economia della storia.
Al di la di questo, però, lo sforzo degli sceneggiatori si intuisce fin dalle prime battute. Il primo punto di vista che ci viene offerto è infatti quello degli orchi, una volta tanto dotati di raziocinio e portati alla guerra da una motivazione solida che va ben oltre la solita rudezza del carattere.
Questa scelta da il via a un'impostazione non improntata su una dicotomia netta tra bene e male. I mostri invadono Azeroth, ma vantano un onore che li spinge ad avere uno sguardo diverso delle proprie azioni. Ciò si ripercuote anche sugli umani, visti come strenui difensori della pace, ma anche contaminati da figure ambigue.
L'intreccio finisce per basarsi sui singoli personaggi, piuttosto che su uno scontro tra civiltà diverse. Spesso questi interagiscono tra loro anche mischiandosi, offrendo una profondità complessa alla rappresentazione. Perno di questo dialogo è la mezz'orchessa Garona, unica capace di comprendere il linguaggio di entrambi i popoli e quindi di empatizzare grazie alla sua genealogia mista.
Garona diventa quindi qualcosa di più della bella combattente con le zanne, assumendo i connotati della figura centrale nella vicenda, rivelandosi addirittura fondamentale in un finale impostato sul sacrificio che, al di la degli ultimi minuti costruiti solo per preparare un seguito, ha una forza non indifferente.
Per il resto Jones fa quello che può con i mezzi che ha. I combattimenti sono resi piuttosto bene e i personaggi appaiono sporchi e vulnerabili. La loro caratterizzazione a volte è convenzionale (come il giovane apprendista mago il cui destino è scritto al minuto uno), altre è giustamente sopra le righe (è il caso del comandante di Azeroth, spiritosone al punto giusto, ma capace di nascondere sofferenze devastanti). C'è l'ovvia storia d'amore interrazziale, resa significativa nell'epilogo, ma un po' scontata durante lo svolgimento del film. Ci sono i finti buoni e i finti cattivi. 
Il ritmo è discreto e la pellicola si lascia guardare senza diventare troppo pesante, anche grazie a un'impostazione che tende a presentarci i personaggi e i contesti in corso d'opera, piuttosto che snocciolarci nozioni all'inizio come magari avviene in altri lavori di questo tipo.
Tuttavia non si può non notare come l'invasiva computer grafica riduca di molto il piacere visivo dell'opera. 
Forse si tratta di una scelta voluta questa, ma non rende giustizia al film rendendolo troppo giocattoloso in confronto a una narrazione tutto sommato matura. E' una cosa che rimane evidente durante tutta la pellicola, nel senso che non ci si riesce mai ad abituare. La decisione di rinunciare in modo così estremo agli effetti speciali analogici finisce per diventare la vera scure che si abbatte sul risultato complessivo dell'opera, penalizzandola ben oltre i suoi demeriti, secondo me.
Ci sarà un seguito probabilmente e darà il via all'ennesima saga fantasy di cui personalmente non sentivo alcuna necessità. Tuttavia se il progetto rimarrà nelle mani salde di Jones, potrei pure farci un pensierino. Oppure no. 
Intanto ciao.


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