I cimeli del cinema #11- Ghost In The Shell

Il film a disegni animati (ma come parlo?) di Ghost in The Shell lo vidi davvero molto tempo fa. E, come a conferma della mia scarsa passione per l'animazione e il fumetto, specialmente di matrice nipponica, non ne ricordo nemmeno un frame.
Tuttavia ho sentito spesso parlare delle tematiche che stanno alla base di questa storia; la fantascienza filosofica mi ha sempre attirato e i concetti di anima e corpo, inseriti in un contesto di domande sul chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo, un fiorino, hanno sempre fatto breccia nel mio cuore.
Utilizzare il genere in questo modo spinge alla riflessione anche chi, come me, non è troppo portato ai Grandi Ragionamenti sull'Esistenza. Se a tutto ciò aggiungiamo che è impossibile perdersi un appuntamento con Scarlett Johansson inguainata nella sua bella tutina, risulta evidente come non mi sia lasciato scappare:

In una Tokyo del futuro, la Hanka è un'azienda che, in collaborazione con il governo, produce innesti per migliorare gli esseri umani e ibridarli con le macchine. Il loro miglior lavoro è certamente Il Maggiore, una donna totalmente sintetica che ospita un cervello umano; la prima del suo genere. O forse no?
Ora, è probabile che i duri e puri dei manga abbiano detestato questo lavoro, considerandolo un sacrilegio. Io, che non vengo da quel mondo, l'ho trovato interessante, ma senza esagerare.
Il concetto di fantasma nella conchiglia è il vero motore che spinge la trama ed è presente in ogni dialogo del film. Tuttavia, per come è stata messa giù la vicenda, mi pare che si appoggi su una serie di piattaforme galleggianti, piuttosto che affondare le radici nel duro terreno. Detta in breve, l'argomento è trattato attraverso elementi già sfruttati dalla letteratura di genere e non si spinge mai troppo oltre nella ricerca.
Del resto questo lavoro non è Solaris e non ha nessuna ambizione di diventarlo. Rupert Sanders sa di dover costruire un prodotto indirizzato a una massa di pubblico più ampia possibile e dosa l'aspetto filosofico della narrazione con la necessità di offrire un congruo quantitativo di azione.
Esplodono cose e fischiano pallottole, ed è giusto così. In realtà la miscela è funzionale al progetto e fornisce un crescendo importante alla pellicola, che così diviene facilmente assimilabile.
La storia del maggiore è interessante, ma lontana anni luce dall'originalità. Potrei dirmi deluso a causa delle tante aspettative che mi ero costruito nella mia testolina, ma in realtà mi sono divertito davanti allo schermo. Quindi io e Sanders siamo a posto così.

Del resto che il regista abbia tentato in tutti modi di mantenersi aderente alle suggestioni dell'opera originale pare evidente anche dall'immaginario fantascientifico costruito per l'occasione.
Una fantascienza più al neon che ai led, capace di regalare colori elettrici su sfondi neri. Una visione un po' datata magari, ma ancora pienamente suggestiva. Ricca di spunti tipici degli anni 80 (ma quanto somiglia il netturbino al Bill Murray di Ghostbusters?), quando la distopia usciva dall'ispirazione grigio sovietica e iniziava a mostrarci le possibili evoluzioni del mondo iper-tecnologico, è un'impostazione che ricorda vagamente Blade Runner, ma soprattutto un certo modo di intendere il genere presente nei B-Movie dell'epoca.
L'aspetto visivo di Ghost In The Shell funziona proprio perché è esagerato, quasi come fosse un videogioco. Tokyo è soffocata da grattaceli enormi che, impreziositi da pubblicità olografiche gigantesche, visti dall'alto restituiscono l'idea di un benessere grasso.
Eppure al livello della strada dominano il fango e lo squallore. Nulla di nuovo in questo, ma qui la resa è soddisfacente e immerge nell'ambientazione tanto da renderla credibile nonostante gli eccessi della caratterizzazione.
Una CGI finalmente ben integrata arricchisce il tutto, aiutando anche i combattimenti grazie al discreto numero di effetti speciali messi in campo. Le coreografie sono spesso confuse e non ci si capisce molto, ma dentro un'opera come questa la cosa non disturba più di tanto. Certo, a meno che non soffriate di epilessia; in tal caso la visione è sconsigliatissima a causa di alcuni flash color ghiaccio che dominano certe sequenze.

A Scarlett vien chiesto di mantenere quest'espressione qui per tutta la durata del film (che, per carità, va benissimo). Ma a dire il vero, visto l'argomento trattato, nessuno degli attori è richiamato a sforzi maxillofacciali troppo esasperati. E se Takeshi Kitano è quasi un jolly nel mazzo, utile a cerare mormorio attorno al progetto più che altro, se proprio devo dire qualcosa sulla recitazione, dico che Michael Pitt non riesce a levarsi il broncetto nemmeno sotto quintali di acciaio temperato.
Ma va bene così. Se si arriva a questa visione privi di aspettative da alta fantascienza, ci si può divertire con una pellicola senza infamie.
Ecco, magari se siete dei fanatici delle opere originali, potreste percepire questo lavoro come un'offesa personale. Ma sarebbe stato così qualunque produzione vi avessero proposto, e non dite di no.
Quindi guardatevi il film del 1995 e passate oltre. Anzi, magari lo faccio pure io, che così mi rinfresco la memoria.
Ma non adesso, che ho da fare.

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