Lo spettatore #235- Favole oscure: Re-Animator (1985)

Per capire lo spessore nascosto dentro un’opera come Re-Animator basterebbe guardare il suo finale e pensare a quanti sottintesi riesce a nascondere.

Dopotutto uno può trovare all’interno di un racconto tutti i significati che vuole, anche alla luce dei suoi vissuti. In fin dei conti Stuart Gordon si limita a mettere in scena un horror molto grafico, di quelli che andavano parecchio ai suoi tempi, riempiendo lo schermo di sangue e frattaglie nella consapevolezza che i giovani degli anni ottanta quello volevano quando andavano in sala o noleggiavano una videocassetta.
Dire che Re-Animator faccia paura sarebbe probabilmente una dichiarazione troppo forte. Sostenere che provochi disgusto è più vicino alla realtà, anche se il tono è così eccessivo e fuori dalle righe da diventare quasi ironico. Ammettere che inquieti è dura, ma lasciando passare un po’ di tempo e mettendolo nella giusta prospettiva qualche strascico lo lascia.

Lo hanno ripetuto tutti, probabilmente anche io. Gordon è uno dei pochi in grado di portare la letteratura del solitario di Providence al cinema senza tradirne lo spirito. Del resto riuscire a costruire un’atmosfera gotica avvalendosi di un’ambientazione contemporanea non è dote a disposizione di chiunque. Gordon lo fa grazie alle luci notturne e a degli attori che riescono a stare bene al gioco. Ovvio, mi riferisco a Jeffery Combs e al suo scienziato pazzo, eccessivo, evidentemente squilibrato, genio incompreso. Gli altri si trovano a girare attorno al suo centro di gravitazione, anche perché dotati di caratteri meno appuntiti. Forse l'unica eccezione è rappresentata da David Gale, grande rivale di Combs dentro il lungometraggio ma anche nella sfida di lasciare l'impronta più profonda nel ricordo degli spettatori. Quando il suo uomo senza testa inizia a vagare per i laboratori ci siamo già giocati la parte seria del progetto, ma di sicuro è un momento indimenticabile.  

Vedere Re-Animator è un divertimento tipicamente anni ottanta. Un film che getta la classica ombra gotica sul potere della scienza. Il novello Frankenstein di Cobbs fa riviere i cadaveri, trasformandoli però in animali fortissimi, spaventati e perciò molto pericolosi. Lo scettico Gale si rende conto del successo ottenuto dal rivale e ne approfitta per portare la ricerca su un nuovo livello.
Intendiamoci, sotto questo punto di vista non parlerei di un film etico o morale, quanto di un’esplorazione del tema, cioè di un artista che, incuriosito da un concetto, lo approfondisce per vedere cosa ne viene fuori.  
Ma se volete la morale potreste anche decidere di trovarcela, perché tutto, volendo, la contiene. Torniamo al discorso fatto in aperura allora e consideriamo Re-Animator una favola (o fiaba, non ricordo mai la differenza). Del resto gli scienziati pazzi con le loro pozioni e le pratiche oscure potrebbero anche essere dei maghi, così come abbiamo la principessa Barbara Cramprton (bionda, giovane, innocente) contesa tra il padre padrone che regna sull’università, lo stregone sempre seduto al suo fianco (perfido, anziano, viscido) che la vorrebbe tutta per se e l’amore innocente e puro del giovane principe aiutato nella sua missione dalla fata che indossa gli occhiali di Combs.
La domanda è: cosa è un amore innocente e puro? Un sentimento del genere può definirsi disinteressato? Se credete che sia così, forse vivete nelle favole. Solo che questa vuol metterla giù diversamente.
Perché, come il principe azzurro, alla fine Dan risveglia la sua Megan dal sonno eterno, seppur consapevole di cosa diventano i cadaveri rianimati con la pozione del dottor Herbert West e sa anche come si può fare per renderli mansueti e ubbidienti.
Quindi davvero quello di Dan è un atto d’amore estremo? Non è che si tratta solo di una forma di egoismo che lo porta a togliere Megan dal riposo cui tutti hanno diritto?
Ma soprattutto: com’è che la tanto bistrattata letteratura di genere spinge riflessioni che i grandi discorsi non riescono nemmeno a raggiungere?


Commenti