Lo spettatore #223- Dove c'è Nick c'è caos: Prisoners Of The Ghostland (2021)
Fatico a resistere quando vedo il
faccione di Nic stampato su una locandina. Se poi il film in
questione promette di essere una cosa fuori di testa , completamente
sbullonata e ricca di stranezze, facile immaginare come la sua
presenza possa rivelarsi un valore aggiunto di notevole entità.
Peccato che strano non voglia dire bello. O almeno non sempre.
Peccato che strano non voglia dire bello. O almeno non sempre.
Difficile descrivere cosa sia Prisoners
Of The Ghostland. Sicuramente la pellicola narra una storia senza
tempo e senza spazio, dal gusto astratto e dalla messa in scena
importante. Un prodotto che va ad omaggiare il post apocalittico anni
ottanta, se vogliamo, ma che lo arricchisce con qualcosa di
giapponese e con un'estetica western, tanto per mischiare per bene
tutte le sue influenze.
Un lavoro del genere, va da sé, è il terreno ideale per una storia di avventura. Un racconto tipico dentro un universo atipico, che poi è la solita solfa del prigioniero che va a guadagnarsi la salvezza recuperando la figlia/amante/moglie o, come in questo caso, nipote del grande capo locale, il quale è il solito pezzo di merda totalitario che tiene nel terrore i suoi uomini facendo leva sui loro affetti.
Aggiungiamo agli ingredienti il gusto orientale per i combattimenti e direi che possiamo goderci lo spettacolo.
Un lavoro del genere, va da sé, è il terreno ideale per una storia di avventura. Un racconto tipico dentro un universo atipico, che poi è la solita solfa del prigioniero che va a guadagnarsi la salvezza recuperando la figlia/amante/moglie o, come in questo caso, nipote del grande capo locale, il quale è il solito pezzo di merda totalitario che tiene nel terrore i suoi uomini facendo leva sui loro affetti.
Aggiungiamo agli ingredienti il gusto orientale per i combattimenti e direi che possiamo goderci lo spettacolo.
In effetti i primi minuti di visione
catturano quantomeno l’occhio, se non proprio l’attenzione.
L’ambientazione di Sion Sono è intrigante, con la strada da
cartolina giapponese e lo stile western degli abiti a riunire le
molte assonanze tra il genere più amato dagli americani e un certo
tipo di cinema del Sol Levante. L’idea è che si voglia giocare con
i generi, tentando di costruire una commedia fatta di eccessi, che
vanno dalle scelte registiche alla recitazione carica degli attori.
Impostazione che non mi è dispiaciuta, almeno fino a che l'anarchia regnava sullo schermo. I problemi secondo me sono iniziati quando si è deciso di fissare i paletti.
Impostazione che non mi è dispiaciuta, almeno fino a che l'anarchia regnava sullo schermo. I problemi secondo me sono iniziati quando si è deciso di fissare i paletti.
Il fatto è che l’esagerata messa in
scena di Sion Sono tira una facciata brutale contro la sceneggiatura
scritta da Aaron Hendry e Reza Sixo Safai, che evidentemente hanno
lavorato in due compartimenti stagni separati senza mai comunicare
tra loro. Non si spiega altrimenti come l’astrattismo di una storia
piena di sogni, flashback e simbolismi possa andare d’accordo con
l’ossessione di esplicitare ogni minimo passaggio della trama.
A un ceto punto la questione diventa pesante, perché il film perde il suo spirito goliardico assumendo un tono sempre più serio, quasi da racconto messianico. L’ossessione per il tempo, il concetto stilizzato di potere, le radiazioni e l’assurda storia dei fantasmi, tutto insieme in un prodotto che mano a mano assume sempre di più le fattezze di un’opera explotiation tipica degli anni ottanta, come questa ad esempio, solo con un budget più ricco alle spalle.
E non è che tanti soldi vogliono dire per forza tanta bellezza, questo lo sappiamo.
A un ceto punto la questione diventa pesante, perché il film perde il suo spirito goliardico assumendo un tono sempre più serio, quasi da racconto messianico. L’ossessione per il tempo, il concetto stilizzato di potere, le radiazioni e l’assurda storia dei fantasmi, tutto insieme in un prodotto che mano a mano assume sempre di più le fattezze di un’opera explotiation tipica degli anni ottanta, come questa ad esempio, solo con un budget più ricco alle spalle.
E non è che tanti soldi vogliono dire per forza tanta bellezza, questo lo sappiamo.
A farla breve secondo me Prisoners Of
The Ghostland soffre dei suoi stessi eccessi, talmente cercati da
risultare ridondanti e in netto contrasto con quella che, almeno
nella seconda parte, sembra diventare l'attitudine della trama.
Tuttavia resta un film strano e magari potreste dargli una possibilità per vedere se a voi il suo stile particolare potrebbe conquistare. Dopotutto strano non vuol dire brutto. O almeno non sempre.
Tuttavia resta un film strano e magari potreste dargli una possibilità per vedere se a voi il suo stile particolare potrebbe conquistare. Dopotutto strano non vuol dire brutto. O almeno non sempre.
Io sono Cage dipendente, questo dice tutto.
RispondiEliminaIl film in questione l'ho visto l'anno scorso e mi è piaciuto molto proprio per i suoi eccessi filo tarantiniani e un po' horroristici.
Ora attendo di vedere Arcadian, sempre con Cage.
Ti abbraccio.
Cage è il numero uno. Condivido la passione.
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