CDC #185- Buchi neri nello spaziotempo che sfalsano i ricordi: Donnie Darko (2001)

Saranno vent'anni che non guardo Donnie Darko, giuro. Ai suoi tempi la pellicola mi stupì, non lo nego, forse grazie a quella sua apertura verso infinite interpretazioni. Ma anche perché i temi adolescenziali lo avvicinavano allo Iuri giovane, che poteva capire il ribellismo del protagonista. Per tutto questo tempo, quindi, mi sono tenuto il ricordo e le chiacchiere che sono nate attorno al film. Solo che prima o poi bisogna uscire dalla propria testa (per quanto scomoda sia per me questa cosa) e affrontare la realtà per valutarla con obbiettività.
Merita ancora Donnie Darko per chi ha superato da un pezzo l'età obbiettivo?

Si perché qui parliamo di un film generazionale, prima ancora che fantastico o fantascientifico. Il protagonista della storia è infatti un giovane brillante, la cui schizofrenia consente a Richard Kelly di schiacciare forte sul pulsante della ribellione. Nel suo modo di affrontare la vita non è difficile riconoscere i tormenti tipici dell'adolescenza. Si combatte contro un universo adulto che nega sempre qualcosa alle nuove generazioni, nella fattispecie quella fetta di conoscenza che potrebbe portarle a decodificare meglio ciò che le circonda. Argomenti di cui parlare per ore, se volessimo, partendo dalla mela di Adamo, passando per la fiamma di Prometeo e arrivando dove vi pare. Ma non è il posto giusto per essere intelligenti questo. Qui siamo nel mio blog e io di queste cose non so niente. Andate via se volete pane per il vostro spirito.
Io mi limiterò a dire che la fortuna di Kelly è stata quella di trovare la faccia insonne di Jake Gyllenhaal, un uomo che si presta ai ruoli da instabile con una certa naturalezza e che per molti è ancora il volto di Donnie Darko, nonostante una solida carriera che da lì lo ha portato sulle stelle.
Nel complesso DD è come te lo aspetteresti, con i ragazzi intensi e gli adulti idioti, stereotipati e spesso anche caricati a pile. Con in più l'astrattismo di un prodotto che vuole essere indimenticabile.
Ecco, se siete passati davanti a uno schermo mentre ci si muovevano le immagini di questa pellicola, sicuramente vi sarete accorti di come, talvolta, il senso del racconto pare sfuggire. Io ho sempre pensato che per capire (o almeno provarci) quello che Kelly narra occorrerebbe provare a entrare in sintonia con il protagonista, uno schizofrenico tormentato dalle allucinazioni mentre prova a fare a meno dei farmaci.
Ci può stare che uno così possa vedere tratti di realtà preclusi agli altri. Una visone romantica del disturbo, probabilmente, ma potenzialmente artistica. Se volete provarci, potete considerare Donnie Darko una di quelle storie che si lasciano interpretare, toccando corde diverse a ognuno degli spettatori. Ma anche così rischiate di fare i conti con un ginepraio difficile da districare.
Al di là delle miliardi di spiegazioni che ha partorito la rete nel corso degli anni, infatti, Donnie Darko per il regista ha un significato preciso che ha a che fare con universi alternativi, buchi nello spazio tempo, nascita e collasso di realtà parallele e via di questo passo. Il che ne fa un film di fantascienza in effetti. Uno dei più confusi mai partoriti dalla mente umana.
Si, perché senza il foglietto illustrativo sarebbe davvero complicato arrivare ai concetti che gli autori vogliono far passare. Succede perché Kelly si appoggia un libro finto per esporre la sua teoria, sceglie male i modi per infilare le sue spiegazioni e parla poco dei concetti (per fortuna, che già quel poco stanca notevolmente). Chiaro, dopo aver scoperto le intenzioni del regista allora si può anche urlare un liberatorio “ci può stare”. Ma senza io non ci capivo nulla, lo dico senza vergogna.
Eppure, anche con le istruzioni mandate a memoria, la replica di Donnie Darko funziona poco. Ci si accorge di come il regista abbia utilizzato soluzioni poco eleganti per portare a compimento la sua opera, come se si fosse svegliato una mattina scoprendo le teorie di Hawking e abbia deciso che fosse una buona idea costruirci attorno un prodotto di intrattenimento, non avendo compreso fino in fondo le implicazioni dei viaggi spaziotemporali e decidendo di trasformare le sue lacune in fisica in una lezione di filosofia.
Paradossalmente Donnie Darko mi ha affascinato di più quando non sapevo di cosa parlasse (forse perché ero più giovane e disposto a concentrarmi sull'aspetto ribelle di Jake), piuttosto che quando ho scoperto il significato di quel coniglio, lo scopo del motore dell'aeroplano (fase comunque critica, come sempre succede quando si toccano argomenti complessi come questo) e tutte le conseguenze di questi su ciò che sta loro intorno.
Insomma, se non fosse stato per i due Gyllenhaal, la futura splendida Jena Malone, l'impeccabile Patrick Swayze e una Mary McDonnel pronta a salire sul Galactica, difficilmente il lavoro di Kelly mi sarebbe rimasto così impresso in tutti questi anni. La vera forza del prodotto sono loro e le loro prestazioni credibili e convincenti che parlano di disagio, difficoltà ad accettare standard non propri e conflitti famigliari spesso molto più grandi di loro. Tutto il pippone fantascientifico scricchiola e già alla seconda visione viene giù come il Jenga quando lo si gioca da ubriachi.
Non escludo che se siete giovani e non ci avete mai messo gli occhi sopra Donnie Darko possa essere ancora capace di ammaliarvi come fece con me ai suoi tempi.
Per noi anziani che invece ci siamo già passati mi sa che è meglio tenerci il ricordo.



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