CDC #166- La parola giusta: Aftermath- La Vendetta (Aftermath, 2017)

In questo periodo sono a caccia di visioni poco impegnative. Non so, qualcosa che faccia esplodere lo schermo senza menarmela con messaggi troppo profondi.
Così, quando sono piombato su una piattaforma specifica e ho trovato una locandina con il bel faccione attempato di Schwartzy affiancato da un sottotitolo che ne annunciava la vendetta, mi è sembrato il caso di approfondire. Quindi ho svitato il cranio, depositato il cervello nell'ovatta vicino al bicchiere con la dentiera e mi sono piazzato davanti al televisore nell'attesa che tutti i pixel si saturassero col colore delle fiamme.
Cara piattaforma (della quale ometterò il nome): credo esista in italiano una parola che descriva ciò che mi hai fatto. Anche se ora mi sfugge.
Si perché Elliot Lester coltiva nessuna intenzione di appagare la sete di distruzione che alberga nel mio cuore. Certo, il suo è un lunghissimo trattato sul dolore. Ma non il dolore di una granata che dilania i nemici un po' tordi che Arnold ama fare a pezzi. Questo amici mieì è un dramma. Qui si parla di perdita e senso di colpa. Porca miseria che culata che ho tirato.
Lester non vuole che io mi diverta. La mette giù durissima, con un ritmo lento e una narrazione riflessiva. Mi attacca da tutti i lati con ogni mezzo a sua disposizione, compreso un grande utilizzo della pietà. Mi pretende disperato davanti alla sua opera.
Dietro al solito “tratto da una storia vera” Aftermath nasconde parecchie potenzialità, non fatico ad ammetterlo. Solo che gli manca anche qualcosa per sfruttarle al meglio, rivelandosi piatto come un tavolo da biliardo.
Agonia penso sia la parola giusta in questi casi.
Ignoro il vostro livello di inglese. Ad ogni modo vi rivelerò un segreto che qualche furbo importatore vorrebbe far passare sotto silenzio. Aftermath non vuol dire vendetta, bensì conseguenze. Per cui Lester non si pone l'obbiettivo di far saltare in aria qualche paese povero, vuole invece indagare nell'animo umano devastato dal trauma.
Che senso possa avere offrire il ruolo di protagonista a una quercia come Arnold in una storia del genere io proprio non lo so. Vero, Schwarzenegger esce dalla sua esperienza di governatore e può darsi che la carriera politica ne abbia affinato le doti recitative, ma la notorietà la deve al fisico e all'espressione robotica, come ci ha mostrato chi ne aveva intuito il potenziale.
Va bene tutto. Da un lato Arnie che cerca di ricostruirsi la reputazione, dall'altro Lester che anela il nome pesante da schiaffare sulla locandina. Però cribbio, durante la prima parte di questo film il nostro deambula con un sorriso ebete stampato in faccia e l'andatura di uno con seri problemi cognitivi. Spaesato come il meme di Travolta, l'attore pare provenire da un altro film e non cattura mai, nemmeno nei momenti più profondi, l'attenzione. Almeno la mia.
Disastro potrebbe essere la parola, adesso che ci penso.
Ovviamente il primo problema di Lester diventa quello di non sottoporre il suo campione a una prova troppo umiliante per le sue capacità. Quindi attorno a lui costruisce una squadra al ribasso. Tutta gente da piccolo schermo, non perfettamente sconosciuta perché notata apparire qui e là, che ci prova, ma che non sfonda la quarta parete nemmeno con la mazzetta del murero.
Ritengo che, sceneggiatura alla mano, il regista si renda conto del macello che la sua opera stia diventando. Quindi, per non far scappare quelli che qui si aspettano qualcosa che profumi di polvere pirica, tenta di legarli a se inserendo sguardi furtivi del protagonista agli sconosciuti e tecnici sospetti in ombra all'interno di una torre di controllo. Quasi a dirci di aspettare, che presto qualcosa accadrà.
Ma niente. Nessuno di questi avvenimenti ha la minima attinenza con la trama. Sono solo mezzucci atti a trattenere un pubblico che diventa più furente ogni minuto che passa.
Fondelli dev'essere la parola. Che non arriva da sola, per altro.
Peccato comunque. Perché, aspettative tradite a parte, dare più spazio a personaggi quali la giornalista, ad esempio, poteva offrire al film una sostanza che invece manca. Da solo Schwartzy, per quanto bene gli possa volere, una storia così non la regge.
Non basta un grande nome nel ruolo di protagonista (e nemmeno uno dal lato dei produttori, se dobbiamo essere onesti, vero Aronofsky?) per costruire un'opera interessante. Questa pellicola la si poteva raccontare in tanti modi, molti dei quali migliori di quello utilizzato qui.
Io volevo divertirmi davanti a un attempato Arnold che faceva scoppiare mezzo pianeta. Invece mi sono annoiato come una bestia.
Ecco, adesso mi è venuta la parola che stavo cercando. Ma è meglio se la tengo per me.






Commenti

  1. Arnold e la sua svolta drammatico intimista, mettiamola così, almeno "Maggie" (da noi storpiato nel titolo) colpiva nel segno, questo oltre ad essere poca cosa, sparisce anche dalla mente, quello se può consolarti, posso assicurartelo. Cheers

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Voglio fidarmi. Ne ho bisogno. Non sopporterei l'immagine di quella faccia ebete per troppo tempo senza impazzire.

      Elimina

Posta un commento