Iuriville Horror

Eppure pensavo di cavarmela. Di vivere questo periodo di incertezza tutto sommato bene. Del resto la mia indole sfuggente di tipo piuttosto avverso alla socialità mi protegge da tutto questo isolamento. Ovvio, la partita a freccette corredata da una dozzina di medie manca pure a me, ma non me ne faccio un cruccio. So resistere al vizio. Almeno per adesso.
Tuttavia ho scoperto che l'equilibrio mentale è qualcosa di sottile. Mantenerlo significa danzare sul filo respingendo gli elementi di disturbo e tentando di dar peso solo alle situazioni che si possono controllare. Un esercizio che credevo mi riuscisse decentemente.
Invece ho incontrato una fotografia, il filo si è spezzato e io sono caduto giù.
L'immagine a cui faccio riferimento è piuttosto celebre e ritrae i fratelli De Feo in una posa spensierata. Sono sicuro che molti di voi la conoscono. Esatto, proprio quella dove la ragazzina al centro del ritratto si esibisce in una smorfia.
Ma magari non sapete nemmeno di cosa sto parlando, seppure il titolo di questo pezzo qualcosa dovrebbe suggerirvi. Ci sta comunque, visto che fino a poco tempo fa nemmeno io conoscevo l'esistenza della foto in questione e, se devo dirvelo in un orecchio, stavo benissimo così.
Sapete come vanno certe cose comunque. Quando qualcosa vuole entrarti in testa mette in pratica tutti i sotterfugi che conosce pur di raggiungere l'obbiettivo. Così i De Feo hanno iniziato a spuntarmi da tutte le direzioni e, mio malgrado, sono entrato in contatto con la storia che si nasconde dietro il ritratto.
La vicenda è piuttosto nota, soprattutto grazie alla morbosità di Hollywood e a un certo clamore generatosi attorno a un evento così atroce. Qualora viveste su Marte dagli anni sessanta (a proposito. Ciao! Come va lassù?), vi posso dire che delle cinque persone raffigurate nella fotografia, quattro sono destinate a finire molto male per mano della quinta, ovvero il mentecatto seduto in basso a destra.
Naturalmente la fabbrica di leggende metropolitane ha subito iniziato a mettere in giro voci di case stregate, cimiteri indiani e demoni possessori. Ma non sono qui a parlare di questo. Tanto più che coltivo un'opinione diversa. Dal mio punto di vista certi eventi sono spiegabili sempre con le solite motivazioni legate a disturbi mentali mai diagnosticati, effetti allucinogeni di alcune droghe molto in voga negli anni settanta e l'intramontabile desiderio di soldi facili.

Ma dove diavolo è la foto? Chiederete voi a questo punto. Ecco, sappiate che non la troverete in questo post. Mi sono rotto le palle di vederla comparire in continuazione e non ho intenzione di trovarmela davanti ogni volta che lavoro al blog. Quindi, se proprio ci tenete, cercatela. Tanto è abbastanza facile da rintracciare.
Solo, è meglio che vi avvisi di una cosa. Google sa essere un motore di ricerca piuttosto meticoloso e i risultati che vi restituisce non sempre sono quelli che vorreste vedere.
Diciamo così: se non siete portati a una certa brutalità certe cose potrebbero schiaffeggiarvi con il dorso calloso di una mano gigantesca. Perché so anche io che su internet si trova di tutto, ma cacchio, credevo che se uno volesse proprio vedere certe immagini dovesse andarsele a cercare in maniera un po' più specifica. Sbattute in faccia sono una roba.
Ci siamo abituati al sangue attraverso il filtro del cinema horror, che, per quanto voglia in tutti i modi impressionarci con i sui effetti speciali, spesso resta palesemente un gioco messo in piedi da bambini cresciutelli. La realtà è più cruda di quanto noi amiamo disegnarla. Ma non serve che ve lo dica io questo.
Perché si, certe fotografie sono terribili e non capisco come possano diventare pubbliche, ma risalgono comunque a cinquant'anni fa e sono convinto che l'impressione che suscitano sia destinata a esaurirsi dopo un po' di tempo. Almeno quella prodotta dalla carnalità.
Perché c'è dell'altro. Certe scene sotto la luce gelida di un flash scatenano anche un'altra categoria di turbamenti. Più nascosti e meno gestibili ma che vanno affrontati. Altrimenti esiste il rischio concreto di mandare a spasso il cervello tramortito dall'insonnia.
Si tratta di un disagio lieve ma persistente che si lega a quello che dice un'immagine oltre a ciò che ritrae. In questo caso ci parla di una violazione, infida perché forse la peggiore in assoluto. L'idea che il mostro entri in quello che si crede un rifugio sicuro, nel momento di maggior vulnerabilità. Diavolo, siamo stati tutti bambini (anche se io molto tempo fa ormai) e tutti ci siamo nascosti sotto le coperte, avvolti dal tepore e dalla certezza che li nulla ci avrebbe raggiunto. Non serve che dica altro, penso.
Aggiungiamo il carico: il demente che ha provocato tutto doveva far parte di quell'impalcatura protettiva. Almeno credo. Perché non ho idea di come Ronald Jr. fosse percepito in famiglia.
Insomma c'è di che rimanere intrappolati all'interno di certi ragionamenti. Anche se la strage di Amityville non è poi troppo diversa da tante altre che avvengono quasi ogni giorno e non tutte mi disturbano, altrimenti ciao Iuri. Il mondo è un luogo zeppo di pazzi e se dovessimo stare dietro a tutti quanti non se ne uscirebbe più. Speriamo solo di non incontrarne troppi, che vi devo dire.
Bisogna vivere sopra e di fianco alla crudeltà insita nella nostra specie. I buoni non esistono su questo pianeta, al massimo ci sono quelli bravi a tenere le mani in tasca quando si arrabbiano.
Non ha alcun senso farsi torturare da un evento successo a seimila chilometri da qui nel 1974 solo perché Google non sa farsi i fatti suoi.
Infatti il mio disagio non è nato da qui, questa è solo una conseguenza. Ci sarebbe ancora quella foto, quella della ragazzina che fa la smorfia. Ricordate?

La spontaneità di quei visi è una delle chiavi del mio turbamento. Ci ho ragionato su e sono giunto a questa conclusione. Non si tratta della solita fotografia di famiglia, tutti seri e con l'abito buono. Questo è un momento ritratto da uno dei genitori (che condivideranno il destino dei quattro figli) fatto di spensieratezza. Li rende terribilmente reali e, al di la del mobilio che si intravede, anche attuali. Come fossero eternamente presenti.
Viene fin troppo facile immedesimarsi. Sentire le loro risate un istante dopo lo scatto e poi tutto il resto, come una cascata. Così come si riesce quasi a percepire un fastidio. L'ossessione di non riuscire a stare mai da soli per qualcuno che fatica a sopportare la compagnia. Una confusione eterna dalla quale fuggire è impossibile, se non di notte, quando tutti dormono e il silenzio ricomincia a dominare tutto quanto.
Fino a che punto si può arrivare ad amare il silenzio?
Poi si, come dicevo qui c'è anche una sorta di blocco che mi ritrovo ad avvertire quando incontro immagini o suoni risalenti a quel periodo. Non so di cosa si tratti. Io quel decennio l'ho frequentato poco, i miei primi ricordi hanno un otto davanti e mi paiono istantanee di un periodo tutto sommato sereno. Direi che il peggio è arrivato dopo e di quello ho piena coscienza. Ma vai a capire da cosa ci protegge il nostro cervello.
Ad ogni modo la morale è la seguente: non scavate mai negli angoli della vostra mente quando avvertite qualcosa che vi turba, specialmente se state vivendo un momento di incertezza come quello attuale. Sapete da dove partite ma non in che condizioni arrivate.
O magari fatelo perché è proprio da queste fasi della vita che si trae la forza per crescere come persone.
Vedete voi, basta che mi leviate quella foto da davanti che non ne posso più.
Arrivederci






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