CDC #134- Il battaglione ritrovato: 1917 (2020)

Tempo fa contribuii al decadimento culturale del web parlandovi del Battaglione Perduto, film di propaganda militare ambientato durante la prima guerra mondiale. Un'opera del 2001 destinata all'oblio, a dire la verità, pregna com'era di quell'eroismo figlio di sceneggiature banali, che ignorano il brutto ed esaltano gli aspetti eroici dei conflitti.
Sono passati vent'anni dal giorno in cui il Battaglione Perduto vide la luce. Un periodo durante il quale un essere umano diventa maggiorenne, ma non sufficiente a mettere su di uno schermo le atrocità di uno degli scontri più sanguinosi della storia in modo onesto, a quanto pare.
Si perché, al netto della tecnica utilizzata da Sam Mendes, non è che il frutto sia cascato così lontano dal ramo.

Del resto lo ha candidamente dichiarato Mendes stesso. Quest'opera nasce per omaggiare il nonno realmente impegnato nel primo conflitto mondiale e si sviluppa prendendo spunto dai suoi racconti. Storie da reduce quindi. Avventure raccontate a nipoti forse ancora troppo piccoli per assumere qualcosa di troppo forte prima della nanna. Se a questo aggiungiamo l'ulteriore censura applicata dall'immaginazione di un bambino, che difficilmente può credere a quanto possa diventare agghiacciante un campo di battaglia, ecco che abbiamo 1917: la vicenda di un soldato che, da solo, attraversa linee nemiche fino a sventare un attacco dagli esiti potenzialmente disastrosi.
Diciamo che se non trovavo troppo efficace la narrazione mitologica del capitano Ricky e del suo plotone multietnico, che per altro parlava di un avvenimento realmente accaduto, non vedo perché dovrei amare questa versione hard dei Sogni Segreti Di Walter Mitty.
Eppure, a differenza dell'opera di Russel Mulcahy, questo 1917 un po' dentro rimane.
Il motivo e fin troppo ovvio e non ha nulla a che fare con la corsa contro il tempo che il caporale Schofiield si ritrova a compiere. Proprio come fece Christofer Nolan in Dunkirk, Mendes prova a cambiare non tanto il racconto in se, quanto il modo di presentarlo al pubblico.
Durante la visione non mi sono interessato molto al concetto base dell'opera, a dire il vero, tanto immaginavo che in un modo o nell'altro il nostro bravo soldato la sua missione l'avrebbe portata a termine. La scelta di stargli così addosso invece ha raggiunto il suo obbiettivo.
Mendes mette in piedi tutta la struttura ansiogena utilizzando il piano sequenza, mettendoci davanti agli occhi solamente ciò che vede i protagonista e giocando un po' con la colonna sonora per costruire la sua tensione.
Come Mulcahy non mostra troppo l'aspetto disgustoso. Tuttavia questa è una scelta che può venire giustificata non tanto dalla propaganda bellica, quanto dalla necessità del protagonista di non indugiare su certi aspetti che potrebbero paralizzarlo. Non può permetterselo. Deve arrivare a destinazione più in fretta possibile.
Poi certo, il film si concede sempre quella patina di eroismo che tanto piace al paese più guerrafondaio della storia del mondo. Perché anche Mendes ha un suo mercato di riferimento e dei produttori che chiedono il conto. La vera essenza della guerra (o quantomeno quella che può passare attraverso la lente di un proiettore) l'abbiamo assaggiata molto meglio in altre pellicole. Opere che non si vergognavano di spiegarci quanto schifo facesse.
Tuttavia Mendes riesce a proporre un prodotto di alto livello, capace di insediarsi per un po' nel cuore del pubblico ben oltre i meriti della sua sceneggiatura rimasticata.
Un giro se lo merita.



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