CDC #98- Il tempo della revisione: Hammamet

Che poi ho compreso bene le intenzioni di questo lavoro. Bettino Craxi come uomo simbolo, scelto da un’intera classe politica per espiare le colpe collettive. Bersaglio unico dell’acrimonia di un potere giudiziario finalmente libero da pressioni politiche. Capro da sacrificare all’opinione pubblica in quanto esempio più sfavillante e spettacolare di una generazione egemone in tutto e capace di prendersi tutto.
Il film vuole rimettere le giuste distanze da un uomo che, prima che ladro, fu politico capace di una visione.
Posso ritenermi pronto a una rilettura della storia. Posso anche dirmi disponibile ad ascoltarvi, se volete esporre le vostre argomentazioni. Sono passati decenni e il rancore non ha più senso di covare sotto la cenere.
Però così no dai. Così no.


Ricordate quanto dissi del Divo di Sorrentino? Quella bella idea di raccontare un personaggio grigio come la nebbia attraverso i pirotecnici stilemi del pop? Ecco, Hammamet sembra scegliere la via esattamente opposta; il politico più vicino all’essere star dei suoi tempi, messo sullo schermo attraverso un linguaggio compassato, tetro, intimo, riflessivo. Arrivando a creare un’atmosfera abbastanza in linea con il crepuscolo rancoroso di un uomo che è stato amato e odiato con la stessa intensità.
Nutrivo una certa dose di fiducia in Gianni Amelio, non lo nascondo. Ben riposta in alcuni momenti. La scelta di stare vicino a Craxi premia. Grazie all’interpretazione da fotocopia di Favino sotto quintali di maschera, va bene. Ma anche per alcune idee di sceneggiatura, come la lettera di un famoso cavaliere stracciata con sdegno o gli attacchi indiretti a un certo giudice, causa scatenate di tutti i suoi guai. Personaggi mai nominati, ma facilmente decrittabili per chi conosce solo un po’ questa vicenda.
L’esilio autoimposto, la martirizzazione ottenuta attraverso una malattia mai curata, il desiderio di ripulitura che viene dall’aiuto disinteressato verso il prossimo. E poi la dualità dei rapporti: spietato con i figli suoi, che pure lo amano fin quasi alla venerazione e invece amorevole con quello dell’amico suicida, che elegge a suo confessore personale nonostante le difficoltà mentali del ragazzo e l’odio profondo che il giovane prova per lui.
La cura nella costruzione del personaggio da parte del regista si vede e passa da alcuni momenti chiave che ne dettagliano la forma. Nulla da dire in merito.


Il punto è che in mezzo non c’è niente. Il film si srotola pigramente per due lunghissime ore senza che ci sia un filo di intreccio. Non che sia indispensabile per carità, ma quando manca andrebbe rimpiazzato con qualcosa d’altro. Che so: emozione, tensione, empatia.
Invece Amelio ripulisce la pellicola da ogni cosa che non sia mera contemplazione. Toglie ogni spettacolarità, racconta e non mostra. Il risultato è una visione lenta, a volte al limite del tollerabile, di un’anzianità frustrata. Non c’è nulla che faccia venire voglia di restare attaccati allo schermo. Né la storia che non esiste, né le immagini sempre improntate al realismo.
C’è stato solo un momento durante lo spettacolo in cui mi sono detto che sì, qualcosa di interessante effettivamente bollisse in pentola. Quella sequenza onirica che riporta la simbologia iniziale del congresso ribaltandone l’atmosfera poteva effettivamente diventare un finale riuscito con il quale far giocare il cervello fornendo a tutta l’opera un significato interpretabile.
Ma no. Amelio sceglie di aggiungere un altro quarto d’ora, gettando definitivamente la maschera e rivelando l’intento agiografico di tutto il progetto.

Perché, diciamoci la verità, l’oscuro episodio di Sigonella, filtrato dagli occhi di un bambino, diventa una storia di eroi. Così come il rifiuto di presentarsi in tribunale si trasforma, attraverso un certo tipo di racconto, nella lotta di un ribelle contro una società forcaiola che lo vuole distruggere ingiustamente. Quella finestrella infranta dalla fionda nella scena finale toglie ogni alibi all’operazione. L’ultimo colpo al sistema di un discolo incapace di arrendersi alle convenzioni.
Non siamo più dalla parte di Craxi perché vediamo la verità attraverso i suoi occhi. A questo punto la scelta è tutta del regista. Che va bene, per carità. A ognuno la sua visione del mondo e la facoltà di raccontarla.
Solo che magari sarebbe interessante non subire la lezioncina da dito alzato.
Non mi pare proprio il caso.

Commenti

  1. Il film non l'ho visto, posso solo dire che quanto meno è l'apertura (speriamo) per cominciare a parlare degli anni 80/90 di cui praticamente non si dice nulla di serio.
    Ti abbraccio.

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    1. Un periodo che andrebbe studiato con il giusto approccio. Grazie per la visita!

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