CDC #100- L'amaro sapore della nuova frontiera: I Segreti Di Wind River (Wind River 2017)


In principio fu Sicario.
Probabilmente affascinato dalla narrazione disincantata di Cormac McCarthy, Terry Sheridan ha scelto di portare al cinema la nuova frontiera americana. Racconti che parlano di cos'è oggi quel far west reso leggendario da Hollywood. Di cosa sia diventata l'America verace, quella perduta nei grandi spazi, nascosta e dimenticata dietro alle luci delle megalopoli.
Certo, magari ha fatto un po' di casino con le trilogie, ma comunque il senso è quello. Raccontare storie asciutte, con trame impostate sull'essenzialità.
Non ci sono orpelli nelle terre di frontiera. Solo morti e sopravvissuti.

Sheridan qui si prende la regia e mette in scena un noir di montagna distante anni luce dal gusto del mistero.
La trama va al punto abbastanza in fretta. Addirittura, per togliere ogni dubbio riguardo al suo interesse verso l'aspetto investigativo, Sheridan ci sputa la soluzione in faccia con chiarezza disarmante, mettendoci la verità davanti agli occhi ben prima di quanto non faccia con i suoi personaggi.
Perché il concetto che vuol far passare è l'implacabilità della desolazione. La vita vuota in un luogo seppellito dalla neve, lontano da ogni cosa. Un luogo difficile per chi ci nasce e ci cresce e impossibile per chi ci arriva.
In questo senso nemmeno un evento tragico come un omicidio misterioso può scuotere la comunità. Nella frontiera si muore continuamente. Si soffre in silenzio. Si tira avanti.
Sheridan impara alla perfezione lo stile di McCarthy. Non indugia nel macabro, ma non leva nemmeno la mano. Mostra le cose per come sono. Brutali e prive di epica. Si muore in un attimo nel corso di una sparatoria, anche se sei un personaggio simpatico. Inutile star li a fare tante cerimonie.
Il risultato è un film che, esattamente come Sicario, rende difficile l'empatia. Tutto è trattenuto, tutto vive di non detto o di racconti privi di enfasi. La poliziotta bella e forestiera (guarda un po', esattamente come in Sicario) deve accettare certe regole per continuare a fare il proprio lavoro. La frontiera distrugge chi non la vive, mentre chi la vive già conosce la devastazione interiore che impone.

Jeremy Renner trova un ruolo che gli calza come un guanto. Divorato da un lutto insostenibile che gli ha distrutto la famiglia, ma comunque determinato a proseguire nella sua vita in cerca di uno scopo. Non è male nemmeno l'interpretazione della gemella Olsen, con l'aria abbastanza spaesata da restituire il senso di disorientamento che la coglie, ma anche sufficientemente determinata da cercare di imporsi in una situazione che la vede come la giovane investigatrice a cui viene affidato il compito ingrato di cui nessuno vuole occuparsi.
Magari Sheridan esagera con certe soluzioni, tipo la tremarella della cinepresa durante i dialoghi che fa venire voglia di riversare la cena sul pavimento, ma in generale il suo film parla la lingua giusta, sottolineato anche da una colonna sonora curata da Nick Cave all'insegna del blues più disperato che si trova in giro.
La sensazione che lascia dietro di se Wind River è di un racconto irrimediabilmente senza speranza. Che, anche se trova una sua soluzione che può sembrare all'insegna della giustizia, mette in luce una realtà selvaggia, lontana una vita da ciò che l'America dice a se stessa di essere.
Sheridan si conferma sceneggiatore con la sua idea di mondo e prosegue su questa strada spedito.
Finché i risultati sono questi, direi che fa bene. Al netto del gusto personale i suoi sono lavori riconoscibili, anche affidati a registi diversi.
Non è esattamente una cosa comune sulla collina.


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