A volte penso che parlare di Gabriele Muccino sia come sparare sulla Croce Rossa, perché il regista pare sempre così abbattuto che quasi quasi vien voglia di abbracciarlo. Eppure il più anziano dei fratelli i suoi begli incassi li porta a casa sempre attraverso un meccanismo di affabulazione del pubblico che mi risulta misterioso. Ora, magari è vero che il suo cinema non è esattamente quello che piace a me, ci può stare. Tuttavia la curiosità verso un artista che ha sedotto (anche se per poco tempo) persino i produttori di Hollywood c’è e c’è stata anche in passato, tanto che i suoi progetti americani li avevo pure visti, ricavandone una sensazione neutra tendente al positivo.
Perché dunque non provare anche un pizzico della sua produzione italiana?
Ammetto che a farmi scegliere il film è
stato il titolo, che secondo me poteva anche celare qualche enigma
intrigante (non so perché io sia arrivato a un ragionamento del
genere, ultimamente mi sento tanto stanco). Utilizzare un termine
importante come “trama” qui pare forse esagerato: diciamo che il
canovaccio attorno al quale si muove la sceneggiatura è un classico
del cinema nostrano di questi ultimi anni, non molto lontano dalle
suggestioni portate sullo schermo da Perfetti Sconosciuti.
In questo caso a trovarsi in una
situazione chiusa non sono un gruppo di amici, ma una famiglia giunta
a riunirsi su di un’isola per festeggiare un anniversario
importante e rimasta ivi bloccata causa tempo avverso. Sapete già
come vanno queste cose: la falsa cortesia si può gestire finché la
festa dura poco, ma quando la convivenza si protrae oltre misura le
tensioni emergono e con esse quel dramma che tanto piace alla gente. Per quanto non sia esattamente il film
dell’anno, A Casa Tutti Bene nella prima parte regge abbastanza
bene il peso del vuoto. Siamo alla fase di presentazione dei
personaggi, momento rischioso se vogliamo, ma Muccino riesce a creare
un po’ di movimento e a caratterizzare la fauna. Certo, c’è
Accorsi che è sempre quello da quando faceva Jack Frusciante e
quindi basta ricalcargli un personaggio, ma comunque la narrazione
procede con il giusto ritmo, anche se, a dire il vero, la
sceneggiatura non aiuta molto ad appassionarsi alla vicenda, visto
che i protagonisti paiono già un filo sciroccati di loro.
Tuttavia il peggio accade quando la
tensione esplode, perché Muccino sembra perdere un attimo il
controllo e tutto scivola dentro un dramma teatrale poco lucido ma
molto urlato.
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Ecco, a teatro un po’ di casino sul
palco è probabilmente un buon modo di intrattenere il pubblico, ma
il cinema è un’arte diversa e ogni tanto sarebbe carino se le
nostre maestranze se ne ricordassero. Da quando l’ottimo Massimo
Ghini fa saltare il tappo, la diga cede, anche se, ci tengo a
precisarlo, non per colpa sua. Il suo Sandro è l’unico del gruppo
che in un certo senso è giustificato a tenere comportamenti
eccessivi, eppure è anche uno dei pochi che riesce a miscelarli con
momenti trattenuti, rendendo chiara e limpida la tragedia della sua
malattia. A guardare il resto del cast, invece, sembra di assistere a
un’aula di bambini nel bel mezzo di una rissa. Tutti si gridano
addosso, contorcono i visi in espressioni esagerate, tornano a
gridare, sbattono le porte, scappano e tornano, riurlano. Un macello
di tali proporzioni che diventa persino difficile star li a seguire
le loro vicende invece di spegnere tutto e mettere su una puntata di
Temptation Island o qualche altro reality basato sulla costruzione di
falsi drammi.
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Muccino prova gestire il tutto buttando
dentro trovate estetiche che dovrebbero favorire il fluire della
narrazione, come nel momento in giardino nel quale divide i litiganti
in gruppetti e li segue con un piano sequenza alternandoli in modo
che ogni storia sembri fondersi con l’altra. Ma il film resta
noioso come una giornata tra le mosche e ciò principalmente perché
tutto suona falso, recitato e perciò distante dall’epidermide
(quantomeno dalla mia). Vero che il già citato Ghini, Marescotti e
in parte anche Gianmarco Tognazzi e Valeria Solarino, riescono a
tenere la barra dritta. Ma sono gettati in una situazione dove da
soli non bastano.
Non dico che il resto del cast non sia
in grado di farcela: Sandrelli sa fare bene la tizia un poco
svampita, così come Impacciatore (alla quale resterò sempre
affezionato, anche se non so perché) ha i suoi momenti mentre
gestisce il ruolo di una donna che combatte contro ogni evidenza per
coltivare l’illusione della felicità. Tuttavia è l’insieme a
non funzionare e specialmente da metà film in poi la visione mi è
risultata intollerabile.
Penso che eviterò di approfondire la
conoscenza con il resto della filmografia di Muccino e di tutti gli
altri creatori di drammi con risvolti da commedia che circolano
liberamente nelle nostre sale e sui palinsesti.
Preferisco evitare di soffrire ancora
in questo modo.
Ciao.
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