Lo spettatore #276- Una facoltà rosa shocking: La rivincità delle bionde (Legally Blonde, 2002)
Anche io come il protagonista di un celebre romanzo di Stephen King (e della relativa riduzione cinematografica) devo avere il mio George Stark. Solo che lui non scrive romanzi dozzinali di successo (cosa che gli lascerei fare senza intervenire) ma si diverte a inserire nella lista dei film da vedere prodotti che non degnerei di uno sguardo. Roba che mi è passata sotto gli occhi in epoche lontane e che già allora ho deciso di lasciar andare, che tanto alla fine certe commedie americane sono tutte uguali.
Ma se invece avesse ragione proprio la mia Metà Oscura?
Nel periodo immediatamente successivo alla sua uscita ignorai Legally Blonde, ma non perché mi fosse sfuggito, tutt’altro. Fu una scelta consapevole dettata dalla sensazione di poter cascare sopra l’ennesimo film americano a tema college, con tutte quelle puttanate sulle confraternite e le menate varie che piacciono così tanto oltre oceano, magari pure sguaiato, con un sacco di bamboline a fare gli urletti e i campioni di football a mostrare i muscoli glabri. In effetti per i primi minuti della visione George Stark ha dovuto ascoltare una valanga di insolenze, perché La Rivincita Delle Bionde (uno dei titoli italiani meno indovinati della storia, ndr) pareva proprio puntare a quell'immaginario.
Solo che poi è cambiato. Non tanto da farmelo ritenere indispensabile corredo del mio bagaglio culturale, ma abbastanza da non mandarmi in iperventilazione da nervoso, che di questi tempi è comunque un risultato.
Ma veniamo a noi: Elle Woods è la classica bionda da confraternita, cioè bella, frivola, tutta vestita di rosa e innamorata pazza del fusto di turno. Quando lui le dà il ben servito per recarsi ad Harvard e cercarsi una tizia seria, lei sbrocca e decide di iscriversi alla stessa facoltà per dimostrargli che quella seria è proprio lei.
Ecco, con questo incipit è abbastanza facile cadere nel ridicolo, l’abbiamo visto accadere milioni di volte, soprattutto nelle commedie sguaiate. In effetti Robert Luketic resta a lungo sospeso ai margini del burrone, tentato dalle scene slapstick, dal surrealismo di una situazione piuttosto improbabile (anche se da qualche parte ho letto che gli eventi narrati sono tratti da una storia vera: a voi l'eventuale approfondimento) e dal desiderio di imbastire una trama capace di contenere il messaggio positivo.
A sorpresa Legally Blonde se la cava, anche se non mancano i momenti di imbarazzo (dio quel balletto dall’estetista) e se non sempre l’umorismo centra in pieno l’obbiettivo.
La bionda si trascina dietro tutte le cineprese e convince lo spettatore a fare il tifo per lei, perché ingenua, dotata senza nemmeno saperlo e simpatica, grazie ai tempi comici indovinati e a un viso che ispira buonumore prima ancora che sensualità.
Legally Blonde si porta addosso i suoi anni, perché certi argomenti che vent’anni fa facevano ridere oggi costerebbero la carriera a tutte le persone coinvolte nel progetto, tuttavia conserva ancora una certa forza che lo rende piacevole, soprattutto per merito della sua protagonista, travolgente al punto di colorare di rosa non solo la grigia Harvard, ma anche le stanze degli spettatori.
Ha un finale idiota dove tutti festeggiano, ha dei momenti in cui avrei voluto staccarmi gli occhi dalla faccia e una certa grossolanità nel descrivere i personaggi secondari che solo certe commedie sguaiate possono permettersi.
Eppure diverte, quindi credo che il suo scopo lo raggiunga. Magari non va visto per forza, perché non parliamo di un grande film. Tuttavia se beccato nel momento adatto, potrebbe anche valerne la pena.
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