Lo spettatore #263- Quando ancora non guidava: Pitch Black (2000)

È esistito un tempo durante il quale Vin Diesel non si limitava a far fischiare le gomme della sua Dodge Charger in giro per il pianeta, ma tentava di costruirsi una carriera non per forza legata al suo cognome d’arte. A quell’epoca qualcuno, forse esagerando un poco, ne tesseva le lodi pronosticandogli un avvenire da Bruce Willis, magari anche per via della pettinatura.
A quell’evo remoto appartiene il filmetto di oggi, quello che in definitiva ha donato l’attore alla collina.
Pitch Black, pur non essendolo in senso stretto, ha l’aspetto tipico del B-Movie di fantascienza degli anni zero. Filtri colorati che appiattiscono ogni cosa, strani effetti applicati all’obbiettivo della camera, mostri realizzati con grafica computerizzata (il più possibile mimetizzati in modo da non vedere lo scempio che tale tecnica allora apportava alla visione), gruppo ristretto di attori che vanno da qui a lì e da lì a qui urlandosi addosso e un paesaggio sterile popolato da una fauna ostile.
Un film poco elegante che si limita a reiterare le stesse dinamiche mostrate da tanti altri prima di lui che potrebbe benissimo essere ignorato e che per qualche motivo ha dato avvio a una trilogia basata su quello che sulle prime potrebbe non essere nemmeno il personaggio principale tra quelli presenti in scena.
A ciò aggiungiamo qualche elemento truculento non troppo esibito e potremmo anche sostenere che il pacchetto è completo.
Eppure a David Twohy la magia riesce e specialmente nella seconda parte il suo lavoro prende abbrivio regalando allo spettatore una certa apprensione per ciò che succede sullo schermo.
La storia narra di un’astronave adibita al trasporto passeggeri che naufraga su un pianeta sconosciuto dopo essere stata colpita da qualcosa. L’atterraggio di emergenza è affidato al comandante in seconda (interpretato dalla signorina qui sopra che di nome fa Radha Mitchell) ed è un mezzo disastro. Se ne salvano pochissimi e tra questi sfortuna vuole che ci sia pure Riddick (Vin, ma questo lo sapevate già), temibile carcerato preso in custodia dal poliziotto portato in scena da Cole Hauser.
Ora, se uno si approcciasse al film con quella di levarsi la verdura incastrata tra i denti, già sulla dinamica del misfatto potrebbe iniziare porsi una serie di domande che ne distruggerebbero la visione. Tipo: ma com’è possibile che un’astronave con tutto l’equipaggio immerso nel criosonno non scatti un allarme che permetta di evitare certi incidenti?
Io, come sempre, consiglio di evitare lo stuzzicadenti e tenere duro, altrimenti tutte le coincidenze che la sceneggiatura di Jim e Ken Wheat (con lo zampino del regista) cerca di usare per giustificare il suo incedere rischiano di rovinarvi l’esperienza.
Quello che funziona bene e che in sostanza vale la visione è il rapporto tra personaggi. Esclusa la carne da macello, ben individuabile fin da subito e che è lì solo per mostrare la pericolosità del pianeta e dei suoi subdoli indigeni, il cast beneficia di un disegno semplice ma efficace, per il quale quasi tutti hanno un segreto da nascondere oppure non sono chi sostengono di essere.
Nulla di innovativo, ma comunque un modo perfetto per far scattare il conflitto in un racconto nel quale i protagonisti sono costretti a fidarsi gli uni degli altri per sopravvivere all’assalto dei nemici e andarsene dall’ameno luogo.
La forza di questa impostazione è quella di gettare sospetto su tutti quanti, nascondendone le reali finalità e la vera predisposizione a salvare tutti e non solo se stessi.
Chiaro, visto a quei tempi, con un Vin Diesel ancora non sulla breccia e la saga di Riddick al di là dal venire, queste alchimie sarebbero state ancor più godibili, proprio perché qui non c’è l’eroe senza macchia che si occupa di tutti quanti senza incrinature morali.
Anche così, comunque, Pitch Black si dimostra insospettabilmente brillante e sa guidare lo spettatore verso un finale scontato, senza rinunciare a punzecchiarlo con qualche uscita di scena eccellente.
La sua ora e mezza se la porta a casa.





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