Lo spettatore #255: La storia di quella del mocio: Joy (2015)

C’è stato un tempo non troppo lontano nel quale Hollywood ha provato a fare di Jennifer Lawrence la sua nuova diva. L’attrice compariva dappertutto, dai film con le tutine a quelli sui giochi ad eliminazione per adolescenti, fino alle commedie romantiche con tizi difficili. Insomma, pareva ormai arrivata l’ora di costruirle un’intera pellicola attorno, darle l’aria del prodotto indipendente e affidarlo a un regista alla moda. Che poi a me di tutta la filmografia di David O. piaccia si e no un quarto d’ora è un altro discorso. Io ho gusti strani, lo sappiamo tutti.

Quando ancora qualcuno si ricordava di lui, Joy veniva spesso definito come la storia di quella che ha inventato il mocio. Una descrizione bugiarda e riduttiva, se volete sapere la mia, perché in realtà Joy è una commedia dai tratti amari che narra la determinazione quasi ossessiva di una donna verso i propri obbiettivi, tanto da arrivare ad affrancarsi dal ruolo di casalinga disperata per arrivare a diventare un’imprenditrice di successo.
Ma si, la questione del mocio ha un ruolo centrale nella narrazione, anche perché è tramite questa invenzione che la strada della protagonista può distendersi davanti a lei. Tuttavia non è la realizzazione tecnica di un prodotto reso più funzionale dalle idee di Joy ad essere importante qui. Tanto più che il momento dell’idea è reso un po’ alla maniera collinare, ovvero come un colpo di genio che si materializza nella testa della protagonista senza logica apparente e questo è il primo punto debole della narrazione.
A contare è la voglia che Joy mette nel suo progetto, la convinzione di poter riuscire, la forza di superare ogni difficoltà.

J.La all’epoca delle riprese vagava tra i 24 e i 25 anni, un’età durante la quale molte sue colleghe sono ancora alle prese con ruoli da liceali. Lei è credibile nel dare vita a una donna matura, già piuttosto provata dalla vita, con una famiglia disfunzionale che pare attaccata al suo seno con l’intenzione di abbeverarcisi fino al completo prosciugamento.
Tuttavia se la sceneggiatura di Russel si fosse sforzata di creare un personaggio diverso dalla santa missionaria, magari l’intera operazione sarebbe sembrata un filino più credibile. Ora, io non conosco nè direttamente nè indirettamente la Joy Mangano alla cui storia il film dice di ispirarsi. Ma mi pare un pelo difficile che questa, con tutti i parassiti che si trova a dover nutrire e le difficoltà di un’impresa alla quale non crede nessuno tranne lei, non si sia mai incazzata come una faina. Tuttalpiù ha qualche momento di sconforto, che comunque passa nell’arco di due minuti.
Un po’ troppo forse?
Ad ogni modo la nostra è circondata da facce note e meno note, tutte con un carico di problemi da rendere innocua qualunque imbarazzante cena di Natale vi sia capitato di frequentare. A mettercele abbiamo gente del calibro di Bradley Cooper (che forse poteva essere sfruttato un poco di più, data la chimica già dimostrata con J.), Isabella Rossellini o caratteristi di mestiere come Virginia Madsen e Edgar Ramirez o anche figure che una volta sarebbero appartenute alla prima categoria, ma che oggi come oggi sono finite decisamente nella seconda.
L’altro grosso problema del film è secondo me quello di far raccontare tutto a un narratore in terza persona (e già qui) che però ci lascia a metà visione, senza smettere di raccontare. Boh, io certe scelte non le capisco proprio.
Tutto sommato comunque Joy è un film che intrattiene il giusto, anche se è molto facile da dimenticare. Russel continua a fare il regista alla moda con i suoi film ad ambientazione nostalgica e le sue commediole , roba che magari sul momento funzionicchia, ma che svanisce dalla memoria dieci minuti dopo la visione.
Che sia stata questa la vera sfortuna per la nostra J? In fin dei conti dopo questo film che doveva lanciarla nell’olimpo non si è più vista sugli schermi con la stessa frequenza. Ma magari è solo la scelta artistica di un’attrice che a venticinque anni aveva già vinto tutto e che da lì in avanti ha deciso di scegliersi da sola i ruoli che valesse la pena interpretare.
Credo che non lo saprò mai, ma dopotutto non è nemmeno che mi interessi troppo.
Ciao




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