Lo spettatore #241- Muri di gomma: I vivi e i morti (House of Usher, 1960)
Ci vuole una certa arte per far sembrare splendente qualcosa che è costruito con materiali di recupero. Un’arte che ha permesso a Roger Corman di costruire una carriera e lanciarne chissà quante. Un’arte complessa da apprendere e che non sempre produce buoni risultati, perché a volte manca troppo materiale per poter edificare qualcosa.
Qui l’idea è che manchi proprio la
carne da addentare, nonostante la presenza di nomi pesanti sulla
scrivania degli sceneggiatori. Parliamo di Richard Matheson, tanto
per capirci, qui alle prese con la classica casa Usher di Poe, non
robetta da poco.
Eppure la magia non riesce principalmente per demerito della scrittura, in una storia che si arrotola su sé stessa faticando tremendamente a scortare lo spettatore verso il finale, in un film da settanta minuti che pare durare il doppio.
Ovvio, è un horror a tinte gotiche uscito nel 1960, quindi il ritmo non è esattamente una prerogativa. Tuttavia la sensazione è che la parte centrale ripeta troppo spesso la stessa nenia.
Eppure la magia non riesce principalmente per demerito della scrittura, in una storia che si arrotola su sé stessa faticando tremendamente a scortare lo spettatore verso il finale, in un film da settanta minuti che pare durare il doppio.
Ovvio, è un horror a tinte gotiche uscito nel 1960, quindi il ritmo non è esattamente una prerogativa. Tuttavia la sensazione è che la parte centrale ripeta troppo spesso la stessa nenia.
Creare tensione è un mestiere
complicato, essere costretti a farlo gestendo i tempi del cinema lo è
ancora di più. Una volta che il protagonista entra in casa Usher per
reclamare la fidanzata e fa la conoscenza del maggiordomo e
dell’inquietante fratello di lei, il tempo passa tra lui che la
vuole portare via e Vincent Price che gli dice no, che non capisce,
che non può capire, che non vuole capire, quanto la maledizione
degli Usher vada chiusa nella casa affinché non si diffonda tramite
eredi degeneri. Solo che a volte pare di intuire che sia la casa
stessa a portare i malefici sugli occupanti, altre che siano questi
ultimi a rendere aridi i terreni sui quali la magione sorge.
Fatto sta che per un lungo periodo il film costruisce il suo mistero sulle forzature, sul non detto sul mai rivelato, costruendo un muro di gomma davanti al basito protagonista, al quale basterebbe spiegare quale sia il problema, senza pretendere che ci arrivi da solo senza indizi.
Forse nel 1960 questo sistema funzionava ancora, non so dirlo.
Fatto sta che per un lungo periodo il film costruisce il suo mistero sulle forzature, sul non detto sul mai rivelato, costruendo un muro di gomma davanti al basito protagonista, al quale basterebbe spiegare quale sia il problema, senza pretendere che ci arrivi da solo senza indizi.
Forse nel 1960 questo sistema funzionava ancora, non so dirlo.
Poi Corman fa i miracoli disponendo di
quattro attori di numero e una manciata di ambienti nei quali
muoverli. Riesce a dare l’idea di una magione in disfacimento, sul
finale mette in piedi uno spettacolo notevole e, grazie all’aiuto
di Price, don carattere a un prodotto che per larghi tratti rischia
di cascare sotto il peso di una storia piena di spazi vuoti.
Chiaro, deve piacere l’ambientazione e io non sono molto affezionato al gotico di quel periodo, che trovo faticoso da seguire e quindi poco coinvolgente. La grande maestria dei tecnici dell’epoca anche qui riesce a creare un’ambientazione affascinante, che probabilmente ai suoi tempi funzionava alla grande (specie nel buio di una sala), ma che vista oggi pare una casa stregata da parco divertimenti.
Fatico a percepire la gravità che il film vuole trasmettere, ma questo è probabilmente normale visto che parliamo di un lavoro portato sullo schermo sessanta e oltre anni fa.
Se a voi la magia di proiettarvi indietro, accettare i limiti e immergervi nel contesto, riesce, forse questa versione di casa Usher potrebbe conquistarvi.
Io francamente faccio fatica.
Chiaro, deve piacere l’ambientazione e io non sono molto affezionato al gotico di quel periodo, che trovo faticoso da seguire e quindi poco coinvolgente. La grande maestria dei tecnici dell’epoca anche qui riesce a creare un’ambientazione affascinante, che probabilmente ai suoi tempi funzionava alla grande (specie nel buio di una sala), ma che vista oggi pare una casa stregata da parco divertimenti.
Fatico a percepire la gravità che il film vuole trasmettere, ma questo è probabilmente normale visto che parliamo di un lavoro portato sullo schermo sessanta e oltre anni fa.
Se a voi la magia di proiettarvi indietro, accettare i limiti e immergervi nel contesto, riesce, forse questa versione di casa Usher potrebbe conquistarvi.
Io francamente faccio fatica.
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