Lo spettatore #237- New York ti morde: Stress da vampiro (Vampire's Kiss, 1989)

Non ho mai nascosto la mia passione per il romanzo chiamato American Psycho, una delle più lucide descrizioni della follia edonistica anni ottanta. Ecco, credo che (almeno per la sua versione cinematografica) l’ispirazione possa aver trovato linfa in questo Stress Da Vampiro, film forse più famigerato che famoso a causa dell’infinità di meme partoriti dai soliti simpaticoni che vivono aggrappati alla rete.

In effetti il Peter Loew interpretato da Nicholas Cage, pur non facendo parte dell’esercito degli yuppies è un ottimo proto-Bateman. Come il protagonista descritto da Bretton Ellis, infatti, l’uomo vive New York con tutte le sue opportunità e, proprio come Patrick, da essa finisce masticato (letteralmente direi) fino alla follia.
Il racconto è cupo, anche più di quanto sembri. Anzi, stando alla locandina si potrebbe addirittura pensare di trovarsi di fronte a una commedia vagamente piccante. Invece la sceneggiatura di Jospeh Minion racconta l’oscura discesa nel baratro di un uomo frantumato dalla solitudine.
Non ho idea del perché questo film si porti dietro una fama così negativa. Anzi, forse ce l’ho e riguarda il tizio ritratto nella foto qui sopra, ma in caso il problema fosse questo, mi verrebbe da dire che forse l’intero progetto non è stato capito.
Vero, Cage in questa circostanza si è espresso oltre le righe come non mai, dando sfogo a tutto l’istrionismo che l’ha reso famoso (ma anche controverso) tra tutti coloro che guardano i film. In alcuni momenti la sua fisicità straripa, copre ogni cosa, oscura le pur interessanti idee di regia, si mangia colleghi e tecnici come fosse un mostro venuto dall’oltretomba. Eppure riesce a incarnare benissimo il senso costante di minaccia che soprattutto la povera Alva è costretta a subire. I suoi repentini cambi di umore lo rendono imprevedibile, capace di qualsiasi cosa, non solo negativa.
Nick sarà eccessivo, ma non sembra mai fasullo. La sua mente sta deragliando e questo dal film traspare, anche con una certa potenza se vi devo dire la mia. In più la convinzione di essere diventato vampiro ne trasforma anche la postura, facendolo diventare simile a quel Nosferatu che si intravede alla televisione.
Un’altra questione interessante è proprio quella: Peter è stato vampirizzato, oppure è semplicemente vittima di una degenerazione ormai irrecuperabile? Chiaramente tutto fa propendere per la seconda ipotesi, anche se la vampira che lo trasforma in effetti esiste, seppure non nel modo che intende il protagonista.
Fatto sta che se Nick gioca con il suo personaggio rimanendo sul filo di questo equivoco e Robert Bierman dietro la macchina da presa gli dà manforte, trasformando le passeggiate notturne del suo eroe in scene gotiche, tipicamente vampiresche, rafforzando il livello di disagio che si respira durante tutta la visione.
La sequenza madre è probabilmente quella davanti al cassonetto, mentre va in scena l’allucinazione più poderosa, tra il disfacimento totale dell’uomo ormai fuori controllo e l’illusione di un lieto fine che non funziona nemmeno dentro la sua testa. Ma tutta la progressione che porta Peter fin lì è un bel cazzotto da incassare.

Poi ci sono anche gli altri, come la Alva di Maria Conchita Alonso, totalmente soggiogata dall’imprevedibile personalità del suo capo, combattuta tra il rifiuto e il desiderio recondito di compiacerlo, oppure la “vampira” di Jennifer Beals, bellezza tipicamente anni ottanta che incarna il modo di intendere la sensualità dell’epoca. Eppure nessuna di loro, per quanto brava, può rivaleggiare con Nick nostro, che vampirizza il prodotto facendolo suo, fino diventarne l’immagine stessa.
Probabilmente tutte le riserve che questo lavoro si porta dietro sono dovute a questa tracotanza. Cage assorbe tutto proprio grazie al suo stile eccesivo e spaccone e se il suo modo di recitare non piace, beh, l’intero film ne paga le conseguenze.
Per quanto mi riguarda io l’ho adorato, quasi quanto il figlio illegittimo dato alla luce da Ellis. Ma voler bene a Cage per me non è difficile.






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