Lo spettatore #230- La genesi del Genio: The Fabelmans (2022)

Ci sarà un motivo se lui è Steven Spielberg e gli altri no, chiedo io. Infatti ogni volta che vedo un suo film resto sempre sorpreso, anche se parla di semplici questioni famigliari o di un’infatuazione per un mezzo di comunicazione. Parliamo di un genio? Non mi piacciono queste etichette che pretendono di descrivere l’assoluto, ma forse in questo caso si. La parola ha senso.
Chiaro, non che servisse The Fabelmans per certificare la questione, anche perché probabilmente non è l’astro più luminoso della costellazione Spielberg. Tuttavia il prodotto è una conferma di quella che è la regola dell’orologio (legge che ho inventato io in questo momento e che mi darà la celebrità imperitura).
La storia è semplice, direi quasi ridondante per quante volte è stata raccontata nella lunga vicenda umana su questo pianeta: un giovane bimbo sveglio che scopre le meraviglie delle esplosioni, vuole controllarle e, grazie all’aiuto di un genitore che ne riconosce le esigenze, impara come farlo attraverso la celluloide. Poi ci sono il dramma di una famiglia spezzata, le difficoltà di inserirsi per chi vive nell’emarginazione sociale, l’impossibilità di essere presi sul serio quando si vuol fare un lavoro che per gli altri equivale a un hobby. Il tutto per una lunghezza esasperante anche in quest’epoca di film chilometrici.
Ci sarebbe tutto per mettere su un mattone utile solo a costruire ondate di insofferenza in chi guarda. Ma lui è Spielberg ed è un maestro a far funzionare la regola dell’orologio.
Ma cos’è sta diamine di regola, chiederete voi a questo punto. Subito detto: quante volte vi trovate davanti un film che vi tedia fino a farvi desiderare soluzioni estreme, convincendovi a porre lo sguardo sul quadrante per scoprire che sono passati pochissimi minuti dall’inizio? Ecco, succede sempre più spesso. Potremmo inquadrare questa situazione con il fallimento della regola. Se non riesci a far correre l’orologio mi stai raccontando male una storia. Non si tratta di lentezza della narrazione, dell’argomento o di chissà cosa. Semplicemente non stai conquistando la mia attenzione.
Ecco, con Spielberg questo non succede (quasi) mai. Qualsiasi cosa scelga di mettere su uno schermo, riesce (quasi) sempre a far scorrere via tutto senza nemmeno far venire in mente l’orologio. E se proprio vien voglia di guardarlo si finisce per scoprire che il tempo è passato molto in fretta, come succede quando ci si diverte.
Poi possiamo star qui ore a discutere sul merito. The Fabelmans è un’autobiografia indulgente, romanzata quel tanto che basta per darle un tono bonario e creare empatia con il protagonista, ma anche comprensione verso tutti i personaggi che gli girano attorno, con un letto di buoni sentimenti sempre disteso sotto la superficie a volte un po’ ruvida della realtà. Lo sappiamo, anche questo è Spielberg, uno che ha conquistato il trono sulla collina anche con questo modo di aggiustare cose che nella vita vera sono irrimediabilmente rotte e di intercettare sceneggiature dal cuore tenero.
Però per me non è questo che conta veramente. Lui le storie le sa raccontare come nessuno e ciò lo rende uno dei più grandi registi che siano mai comparsi. Uno dei più grandi narratori mai comparsi, anzi. The Fabelmans non si farà ricordare troppo a lungo, probabilmente, perché la magia che racconta è intima e vale più per lui che per noi che lo guardiamo.
Ma funziona dannatamente bene quando deve confrontarsi con la stupida regola che ho inventato lassù con una qualità che sempre più difficilmente vedo sullo schermo.




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