Lo spettatore #229: Cavi e metallo: Hardware (1990)
Strana creatura Hardware, figlia della mente bizzarra di Richard Stanley, sospesa tra le suggestioni cyberpunk e lo spirito religioso, anarchica, psichedelica a volte confusa, eppure capace di costruirsi attorno un nutrito plotone di appassionati veraci che da essa sono stati plasmati. Avete presente I Rec U di Federico Sfascia? Ecco, quello potrebbe essere un perfetto esempio di quanto il mostro meccanizzato di Stanley si sia fatto icona, almeno per una certa parte dei registi contemporanei.
Non è una visione facile quella che ci
propone il regista sudafricano. Certo, sulle prime potrebbe essere
confusa con la classica opera fantascientifica di moda in quegli
anni: c’è un panorama arido e post-apocalittico, ci sono le
radiazioni, c’è il governo totalitario e c’è la disperazione
che striscia per le polverose strade di una Los Angeles senza
pioggia. Il film procede macchinoso, facendo sfoggio di ambizioni da
pellicola di fascia alta, grazie alle riprese mai banali di Stanley e
a un’attitudine per nulla canonica.
La storia non è raccontata secondo i dettami che insegnano nelle scuole di scrittura creativa. Stanley ignora il pubblico, evitando le carezze tipiche di Hollywood, preferendo invece gettargli in faccia quello che la sua testa è stata capace di concepire. Per lui quello che viene mostrato è chiaro e tanto gli basta. Indubbiamente Hardware ha un aspetto visionario, non si può negare, in alcuni momenti addirittura stupefacente. Tiene sempre alto il livello del disagio, si mostra per non farsi dimenticare.
La storia non è raccontata secondo i dettami che insegnano nelle scuole di scrittura creativa. Stanley ignora il pubblico, evitando le carezze tipiche di Hollywood, preferendo invece gettargli in faccia quello che la sua testa è stata capace di concepire. Per lui quello che viene mostrato è chiaro e tanto gli basta. Indubbiamente Hardware ha un aspetto visionario, non si può negare, in alcuni momenti addirittura stupefacente. Tiene sempre alto il livello del disagio, si mostra per non farsi dimenticare.
Il lato negativo di un approccio simile
è che si finisce per fare confusione. Stanley utilizza il metodo
Alien per rendere più tensiva la sua storia e per nascondere i
limiti della messa in scena, per cui è tutto buio e tutto stretto,
il che ci sta. Il punto è che mancano riferimenti spaziali e
temporali. Io, tanto per fare il nome di uno spettatore a caso, non
ho capito quanto grande e come fosse costruito l’appartamento di
Gill, così come mi sono perso quando Moses è uscito di casa
mettendoci un secolo prima di tornare indietro. Il caos è totale e
l’idea è che la cosa sia voluta, almeno in parte, perché Stanley
ne approfitta per infilare dentro la pellicola tutta la psichedelia
che ha a disposizione, trasformando la parte finale del film in una
sorta di viaggio lisergico dominato da un mostro di cavi e metallo
che a un certo punto si staglia sulla scena come un antico demone
della tradizione pagana. Che però è a sua volta vittima
dell’indefinito, perché cambia aspetto ogni volta che lo si
intravede, finendo per assomigliare al robot di Cortocircuito quando
stanno per iniziare i titoli di coda.
La follia della messa in scena viene
ovviamente replicata da una sceneggiatura sghemba, alla quale mancano
alcuni passaggi e che prova a infilare nel testo più argomenti
possibili. C’è della religione qui dentro, nel modo in cui si cita
il vangelo (il nome del mostro, Mark-13, non è scelto a caso) e
nelle pose cristologiche che assume Gill quando è distesa. Senza
contare la morte e resurrezione di lei, poco prima della chiosa.
Non sono un conoscitore delle sacre scritture, quindi non so dire se questi riferimenti svelino un significato profondo. A me pare di notare l’intenzione di schierarsi dalla parte della spiritualità (se non proprio del cristianesimo) contro l’iper- razionalità della scienza, capace di portare il mondo alla distruzione e l’umanità al suicidio collettivo (la legge contro la natalità di cui si sente parlare in radio). La lotta di Gill e Moses (altro nome scelto tra tanti evidentemente) sembra quella dei prescelti contro l’imbarbarimento tecnologico. O forse no.
Non sono un conoscitore delle sacre scritture, quindi non so dire se questi riferimenti svelino un significato profondo. A me pare di notare l’intenzione di schierarsi dalla parte della spiritualità (se non proprio del cristianesimo) contro l’iper- razionalità della scienza, capace di portare il mondo alla distruzione e l’umanità al suicidio collettivo (la legge contro la natalità di cui si sente parlare in radio). La lotta di Gill e Moses (altro nome scelto tra tanti evidentemente) sembra quella dei prescelti contro l’imbarbarimento tecnologico. O forse no.
Perché in fin dei conti in un film
così ognuno può vederci quello che vuole, che è un poco il suo
bello se vogliamo. O il suo brutto se consideriamo il caos di Stanley
come frutto di scarsa capacità narrativa.
Ripeto, ci sta tutto. Quello che so dirvi per certo è che la sequenza del pennellone meccanico oscillante si è già presa un pezzo del mio cuore. Fosse per me vi consiglierei Hardware anche solo per vedere quella.
Ripeto, ci sta tutto. Quello che so dirvi per certo è che la sequenza del pennellone meccanico oscillante si è già presa un pezzo del mio cuore. Fosse per me vi consiglierei Hardware anche solo per vedere quella.
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