Lo spettatore #217: Un nuovo sistema penale: Ipersonnia (2022)

Ci dev'essere qualcosa che non va con la fantascienza dalle nostre parti. Intendiamoci, è un bene che qualcuno decida di impegnarsi nel genere e riesca pure a muovere nomi di un certo calibro. Ma cribbio, ogni volta che termino una visione mi pare che manchi qualcosa.


Nella distopia messa in piedi da Alberto Mascia si sceglie un futuro non troppo remoto nel quale la detenzione in carcere viene sostituita da un lungo sonno che occupa interamente il periodo della condanna, esclusi i piccoli risvegli che servono a verificare le condizioni del reo.
Idea di base interessante, anche perché consente al regista di giocare con la vicenda, la quale, data la natura onirica della narrazione, permette qualche alleggerimento sul proprio rigore formale.
Nulla che non si sia già visto, ma esiste l'intenzione di far sembrare tutto quello che vediamo come un cerchio che si chiude, mettendo in scena uno stratagemma narrativo che funziona sempre.

Poi è chiaro, il film sbatte contro i propri limiti. Dovendo rinunciare in partenza al futuro tecnologico di cui una storia del genere solitamente si abbevera, qui si ricorre a sistemi artigianali. Quindi il carcere di massima sicurezza è ricavato in quella che sembra un diga, le pericolose proteste sovversive contro la pena dell' ipersonno vengono portate avanti da una decina di individui e le città decadenti si riducono a un appartamento tenuto male. Poi c'è quel filtro sulla telecamera che fa molto Curon e sembra essere una caratteristica imprescindibile dello Sci-Fi a basso budget di casa nostra. Io mi chiedo perché, ma sono gusti personali. Se lo usano evidentemente piace.
Il punto vero della questione sta in una sceneggiatura che non è capace fino in fondo di assorbire i limiti della messa in scena, e che si scontra senza salvezza dentro quello che è il pericolo più grande di una storia come questa.

Non posso entrare troppo nel dettaglio perché corro il rischio di svelarvi il colpo di scena che tiene in piedi tutto il progetto. Dico solo che, se da un lato il cerchio di cui parlavo lassù in effetti da l'idea di chiudersi abbastanza bene, occorre notare come alla fine della pellicola resti l'impressione di aver visto niente. Rischio connaturato al progetto ma che andava in qualche modo scansato per dare forza al film.
Il tutto appesantito dagli interpreti e da alcune scelte stilistiche che non capisco. Perché anche se ci prova, Caterina Shulha non è la Blondie di Videodrome, mentre Stefano Accorsi a me pare sempre il Notte di 1992. Poi vorrei tanto sapere perché tutti quanti sussurrano. Che vizio hanno i nostri attori? Sembra sempre di dover assistere a uno di quei film da tinello nei quali usare un timbro di voce normale significherebbe uccidere tutta l'arte del cinema italiano. Anche basta no? Usciamo da questo incubo.
Se devo dirvelo speravo in qualcosa di meglio. Ho viso un film un po' confuso che sembra voler usare il suo gioco onirico per evitare di entrare troppo nei dettagli della trama.
La strada è comunque tracciata. Se questo progetto è andato storto (ma magari a voi potrebbe piacere, chi lo sa?), altri ne arriveranno che aggiusteranno il tiro, persino facendo recitare gli attori a voce alta. Non resta che aspettare.


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