Lo spettatore #211- Consuntivi: Crimes Of The Future (2022)
Giunti ad un certo punto della loro carriera, alcuni artisti sembrano sentire il bisogno di tracciare un consuntivo sul proprio lavoro. David Cronemberg non fa eccezione e decide di dirigere un film che pare il catalogo della sua produzione. Un grande contenitore chiamato Crimes Of The Future.
La visone cronemberghiana del futuro è
sempre piuttosto ripugnante. In un mondo dove l'evoluzione
dell'umanità ha preso strade bizzarre e il dolore fisico è ormai un
ricordo, alcuni individui trasformano le operazioni di rimozione dei
nuovi organi in spettacoli erotici. Perché se una volta si urlava
"lunga vita ala nuova carne" in questo improbabile domani
vale la regola secondo la quale "la chirirgia è il nuovo
sesso".
L'intenzione del regista è abbastanza chiara: prendere i concetti principali del suo cinema ed esporli sotto forma di trattato, disinteressandosi completamente dei filtri narrativi. Un'attitudine che Cronembreg ha sempre avuto, in un certo senso, ma che qui trova la sua massima espressione.
Crimes Of The Future è un film organico dal punto di vista visivo, ma teorico da quello narrativo, fino al punto di risultare distaccato.
L'intenzione del regista è abbastanza chiara: prendere i concetti principali del suo cinema ed esporli sotto forma di trattato, disinteressandosi completamente dei filtri narrativi. Un'attitudine che Cronembreg ha sempre avuto, in un certo senso, ma che qui trova la sua massima espressione.
Crimes Of The Future è un film organico dal punto di vista visivo, ma teorico da quello narrativo, fino al punto di risultare distaccato.
Se non ci fosse Lea
Seydoux a portare sensualità nel racconto, il film non riuscirebbe
mai a far comprendere dove si cela l'erotismo. Cronemberg provoca,
insiste, esagera. Tutto è carne e materia. Tutto è deviazione e
follia. Ma nulla è passione.
Il regista sembra suggerire che la totale assenza di dolore fisico colga le persone impreparate di fronte a qualsiasi altra emozione si presenti loro di fronte. La Timin di Kirsten Stewart è forse il carattere simbolico di questa realtà. Sciatta e anonima, eppure imprevedibile quando scopre i piaceri della nuova carne. L'unico capace di dominarsi è Viggo, perché lui il dolore lo sente, lo sa gestire e con esso tutta la gamma di sensazioni che il suo corpo gli propone.
Il regista sembra suggerire che la totale assenza di dolore fisico colga le persone impreparate di fronte a qualsiasi altra emozione si presenti loro di fronte. La Timin di Kirsten Stewart è forse il carattere simbolico di questa realtà. Sciatta e anonima, eppure imprevedibile quando scopre i piaceri della nuova carne. L'unico capace di dominarsi è Viggo, perché lui il dolore lo sente, lo sa gestire e con esso tutta la gamma di sensazioni che il suo corpo gli propone.
Lasciando passare qualche
giorno, comunque, la trama che spinge Crimes Of The Future è
destinata a evaporare dalla memoria. Come nel Pasto Nudo siamo
di fronte a un noir e proprio come in quel film la definizione va
presa un po' alla larga, perché dell'hard boiled Cronemberg prende
più che altro le atmosfere.
Ci sono accenni ecologismo quando si parla di gente che mangia la plastica, del sogno dell'uomo nuovo incarnato dal bambino che nasce già con le mutazioni genetiche per digerirla, oltre che il perseverare della razza nello sbagliare non volendo riconoscere in lui un futuro auspicabile per tutti.
Ci si può vedere il rifiuto del cambiamento o l'accettazione dello stesso, oppure al desiderio di esso, rappresentato da quel finale che ovviamente resta aperto.
Ma è tutto confuso in una storia che non fornisce mai coordinate precise, preferendo una rappresentazione dell'arte cronemberghiana esposta senza cartelli di riferimento.
Ci sono accenni ecologismo quando si parla di gente che mangia la plastica, del sogno dell'uomo nuovo incarnato dal bambino che nasce già con le mutazioni genetiche per digerirla, oltre che il perseverare della razza nello sbagliare non volendo riconoscere in lui un futuro auspicabile per tutti.
Ci si può vedere il rifiuto del cambiamento o l'accettazione dello stesso, oppure al desiderio di esso, rappresentato da quel finale che ovviamente resta aperto.
Ma è tutto confuso in una storia che non fornisce mai coordinate precise, preferendo una rappresentazione dell'arte cronemberghiana esposta senza cartelli di riferimento.
Un film difficile,
probabilmente molto personale, nel quale Cronembreg lascia andare il
suo stile libero, ma che forse per questo parla meno di altri
all'emotività dello spettatore. Soprattutto uno come me che ha
sempre guardato con distacco il suo cinema.
Per appassionati esperti.
Per appassionati esperti.
Gli hanno dato del "vecchio trombone" per questo film, ma per me non ha perso il tocco anzi siamo sempre ai livelli di ExistenZ. Malsano quanto basta, oltretutto una summa del suo cinema.
RispondiEliminaVecchio trombone proprio no. Io lo definirei introspettivo.
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