Lo spettatore #209- L'oscura Turchia: Baskin (2015)

Il nuovo terrore sa scegliere i luoghi più esotici per manifestarsi. Questa è la volta della Turchia, ambiente alquanto insolito per le storie di demoni, fantasmi e mostri. O almeno lo è per me, che sono ignorante come una capra in bilico su un crepaccio.
Infatti anche sul Bosforo i tempi dell'ingenua exploitation sembrano finiti e, a patto di entrare in confidenza con i suoni di una lingua complessa come quella turca, le sorprese non mancano.

Baskin ha due modi per catturare l'attenzione del pubblico. Il primo è quello che definirei superficiale, fatto di torture, frattaglie e disgusto visivo. Poi c'è l'altro che si diverte a giocare con la percezione dello spettatore, scomponendo il realismo della messa in scena dentro un incubo che continua a proiettare il protagonista avanti e indietro, dentro e fuori, in una sorta di eterno presente fatto a strati.
Vero è che Can Evrenol ci mette un bel po' di tempo prima di entrare nella fase acuta della sua narrazione, prendendosi molto tempo per disegnare i personaggi e insistendo su di loro fin quasi all'eccesso. Un avvio poco pimpante, che però ci concede il tempo di adattarci alla luce notturna, perenne compagna in questo viaggio e che ammanta un'ambientazione che ha sempre qualcosa di sbagliato, anche quando ci sembra di assistere a una semplice cena tra commilitoni.

L'enigmistico gioco di incastri che Baskin propone agli spettatori è probabilmente meritevole di più visioni per poter posizionare tutti i pezzi al loro posto, anche se la linea narrativa principale appare lineare.
Personaggi che si intravedono in alcuni spezzoni iniziali della pellicola diventano fondamentali nelle sanguinose fasi finali e tutto sembra giocarsi su questi dettagli, che continuano a tornare di attualità nel vortice onirico che caratterizza la visione.
Ovvio, alla fine si finisce per mettere tutto da parte e godersi l'ultimo tratto del viaggio, dominato dall'incredibile faccia di Memet Cerrahoglu, sacerdote e magari profeta di un culto animalesco.
Scivolare dentro tale oscurità è un percorso, ben trattato e affascinante, che Evrenol ricopre di disagio, riuscendo a far funzionare la sua opera rubacchiando qua e la a prodotti prestigiosi che ne hanno evidentemente formato lo stile.
C'è tanto cinema made in Usa qui dentro, soprattutto di serie B. Lo si capisce fin da quei due lampioni, dai colori così decisi, incapaci di rischiarare la notte davanti alla bettola dove la squadra di poliziotti sta cenando. Ma talvolta i richiami sono anche più specifici. Perché in quella scena li non ripensare a The Blair Witch Project è una sfida, così come lo schermo televisivo con il suo effetto neve chiama Poltergeist con una voce ben chiara. Tutto assimilato e riconfezionato dentro un film che ha una sua voce, anche se è turca e quindi di difficile comprensione  per chi, come me, ha poca dimestichezza con tale realtà.
Io ci vedo il tema della famiglia, reale ma perduta, sostitutiva nella persona di un vecchio saggio, adottiva dentro un gruppo di commilitoni sintonizzati sulla stessa frequenza d'onda, oppure disfunzionale (eufemismo) quando parliamo di una setta di bestie comandate da un uomo particolarmente strano.
Però è un mio modo di interpretare la cosa, che per altro non capisco a cosa porti. Non che faccia una gran differenza comunque.
Anche perché la pellicola funziona per quella che è, senza bisogno di rincorrere troppe suggestioni. Confonde, disturba ed è abbastanza strana da attirare l'attenzione. Come detto, per portare qualche considerazione ulteriore avrebbe bisogno di un altro passaggio (almeno) e se mi fosse piaciuta anche solo un pochino di più, glielo avrei concesso volentieri.
Eppure, al di la degli indubbi meriti che secondo me vanta e che ho provato a illustravi qui sopra, a Baskin manca qualcosa. Non saprei dirvi cosa. Ho la malsana sensazione che la sua messa in scena nasconda un certo vuoto di fondo.
Ma non sono certo di quello che dico. Come sempre del resto.


Commenti

  1. Mai visto un film turco in vita mia, al pari di quelli coreani.
    Non so, mi mettono allergia al solo pensiero.
    Ti abbraccio.

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    1. Per me era la prima volta. Ne sono rimasto piacevolmente sorpreso.

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  2. L'ho visto mesi fa e mi ha affascinato al punto giusto, per me le influenze più forti vengono da Hellraiser. Funziona nel buttarti nell'orrore così, di colpo, metterti di fronte agli oscuri meandri del mondo che non pensavi nemmeno esistessero, una roba che Lovecraft e Barker hanno sempre fatto bene.
    Anche per me gli manca qualcosa, un pò di coesione tra le varie fasi della storia, ma penso che la sua imperfezione, quel non avere una direzione precisa sia parte del suo fascino. Con una struttura più lineare (più hollywoodiana se vogliamo) sarebbe parso la brutta copia di qualcos'altro.
    E' imperfetto e intrigante nella sua imperfezione. Intriga perchè accenna ad un mondo sotterraneo con le sue regole, i suoi riti e i suoi trascorsi, che possiamo solo intuire.

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    1. Tutto vero. Tanto più che ha la capacità di restarti in testa. Un pregio da non sottovalutare.

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