Lo spettatore #206- Rivolte in maschera: V for Vendetta (2005)

La maschera di Guy Fawkes, legata al collettivo hacker Anonymous e protagonista di molte incursioni digitali, è diventata l'immagine di una certa controcultura basata sul senso di giustizia.
Quello di cui si parla meno, a diciassette anni dall'uscita, è il film che l'ha resa celebre. Un'opera che per un poco ha goduto di una certa notorietà, ma che il tempo ha finito per dissipare nel marasma cinematografico degli anni zero, soffocandola sotto lavori che trattavano all'incirca le stesse tematiche, ma che sono restati più impressi nella cultura popolare. Roba tipo Matrix, tanto per capirci. Così, in un periodo di riscoperte che mi sono sorpreso a vivere, ho deciso di andare a riprendere in mano la pellicola in questione, tanto per provare a capire se esiste un motivo dietro a questa anomalia.
V for Vendetta si presenta come un'opera gotica ambientata in un presente distopico nel quale gli Stati Uniti sono collassati su se stessi gettando l'occidente nel caos. In Gran Bretagna, intanto assurta di nuovo a super potenza globale, un governo autoritario dall'iconografia vagamente nazista ha preso le redini di un potere assoluto.
In tutto questo si innesta il nostro V, una sorta di Zorro con le capacità di Batman, che per motivi almeno inizialmente ignoti si mette in testa di provocare una rivolta atta a rovesciare i padroni del vapore. Ma, come da titolo, V non è esattamente animato dal desiderio di sovversione. Si tratta di un assassino determinato a riparare i torti subiti da se stesso, utilizzando la rabbia popolare come copertura per il successo del suo piano.
Se guardando la pellicola si ottiene un'impressione diversa è soprattutto per merito della narrazione in terza persona operata da Natalie Portman, una che ha i suoi motivi per idealizzare la figura del vendicatore mascherato e che giunge al momento giusto per addolcirne il carattere.
In un mondo popolato da squadracce fasciste e da ignavi intenzionati a mantenere distanti i problemi e a conquistarsi i privilegi dell'asservimento, infatti, venire salvata da V fornisce a Evey Hammond l'imprinting per attaccarsi a una persona della quale non conosce nemmeno il volto. Donare a un uomo così il proprio affetto significa farsi usare, cosa che puntualmente succede. Ma, a quanto pare, anche V, pur nel suo modo distaccato, vede in Evey (assonanza tra i nomi tutt'altro che casuale) una strada per la redenzione.
Insomma, tra i due c'è del tenero, anche se le torture patite dalla giovane farebbero pensare diversamente. Ma la gente si diverte come vuole, non è il caso di fare i moralisti.
Tutto ciò si sviluppa all'interno di un film dall'aspetto artificiale, girato da James McTeague, ma scritto dal duo Wachowski che stampa la propria impronta sulla sceneggiatura.
Quindi troviamo Hugo Weaving, ovviamente, attore che la coppia si porta sempre appresso. Ma ci sono soprattutto le tematiche legate alla lotta post-proletaria dei deboli contro i forti, i concetti di rivoluzione collettiva e la presenza di un potere superiore che nasconde le proprie nefandezze dietro a uno schermo fatto di normalità.
Vero, l'operazione riuscì più raffinata in Matrix (che non a caso posi come esempio in apertura del post, ricordate?). Ma dal punto di vista dell'impatto che seppe ottenere all'epoca, pure questo funzionò bene. Anche perché V portò al cinema la figura dell'(anti)eroe quando il genere non era così inflazionato.
La vera forza dell'opera sta però nel finale, che rappresenta anche il suo lascito. Se nelle dinamiche della pellicola, infatti, non c'è molto da ricordare (o almeno non tanto di diverso da altre che trattano lo stesso tema), nei suoi ultimi minuti la trama giustifica il successo del simbolo di Guy Fawkes. Nel loro climax gli autori ci dicono senza mezzi termini che se anche non tutti abbiamo la possibilità di diventare V, nel nostro piccolo siamo in grado di abbattere un pezzo del muro che protegge il potere. Una chiusura molto scenografica (per quanto fin troppo didascalica) che ha ispirato tante persone, soprattutto indirettamente temo.
Nel fare i complimenti a John Hurt, promosso da Winston Smith a Grande Fratello, vi saluto dicendovi che questo film nel 2023 sa ancora essere godibile, anche se il suo simbolo parla con una voce più potente della sua.








Commenti

  1. Io sono arrivata a vedere il film dopo aver letto la graphic novel: per quanto il film è stupendo, è logico che ci siano delle mancanze.
    Ottimo il discorso politico che ci sta dietro, è una riflessione senza veli sul mondo di oggi.
    Ti abbraccio.

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    1. Non sono un lettore di fumetti e non conosco l'opera originale. Il film è molto Wachowski.
      Grazie della visita!

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