Lo spettatore #200- Il divertimento del 2000, oggi: Il Mondo Dei Robot (Westworld, 1973)

James Cameron ha più volte dichiarato che per la creazione di Terminator fu decisivo un sogno nel quale veniva braccato da un androide inarrestabile. Io credo che, oltre alla peperonata, anche il film di oggi abbia contribuito alla causa.

Michael Chricton deve avere qualche conto aperto con i parchi tematici. Anni prima dei dinosauri già costruiva un luogo dove il divertimento dei facoltosi raggiungeva limiti mai toccati prima (e del quale il Jurassic Park di spielberghiana memoria potrebbe ambire a diventarne un settore, in effetti).
A Delos è possibile vivere un periodo nella propria epoca preferita (tra le tre a scelta) grazie a una straordinaria tecnologia che consente di utilizzare androidi identici agli esseri umani, programmati per rendere l'esperienza fin troppo realistica.
Insomma, come dice il lancio pubblicitario, una struttura che vi permetterà di assaporare il divertimento del 2000, oggi (lo so, viviamo nel 2023, ma va bene, ci siamo capiti).
Insomma una di quelle pellicole che mettono sullo schermo la paura del futuro e di quelle macchine così sofisticate da nutrire, un giorno, la voglia di ribellarsi ai loro creatori.

Ovviamente in tale parco i turisti non devono venire feriti dagli androidi. Al che vien da chiedersi che senso possa avere fornire visitatori e robot di armi vere, seppur modificate. O in che modo una rissa al saloon possa risolversi senza ammaccature, visto che James Brolin, Richard Benjamin e il capo famiglia Bradford Dick van Patten (linea comica della storia, che quando la situazione si scalda semplicemente scompare) incassano cazzotti degni di Bud Spencer e Terence Hill. Contraddizioni sulle quali è meglio non focalizzarsi troppo (del resto non lo fa nemmeno Chricton) altrimenti il rischio è quello di lasciarsi scappare quel tanto di buono che il prodotto ha da offrire.

Se la costruzione della storia affronta un percorso ordinato (quasi scolastico oserei dire) la tensione comincia a cuocere fin da subito nella consapevolezza che mai, a meno di guardare le mani dell'interlocutore, i protagonisti sanno se stanno interagendo con un robot o con una maschera messa lì per agevolare i turisti a immergersi nell'atmosfera. Persino prima di entrare nel parco le maestranze non rivelano la loro vera essenza. E' un'inquietudine che si vorrebbe mettere quasi da parte quella che si prova in avvio di visione. Ma esiste, anche perché questo è un film del 1973 e più o meno tutti sanno chi sia o cosa rappresenti Yul Brynner nell'economia della trama. Persino io che quest'opera non l'avevo mai approcciata.

Brynner, appesantito dagli anni, porta in scena la versione stronza del pistolero Chris Adams che lo rese immortale una quindicina di anni prima. Inizia subito, prendendo a spallate e male parole i baffetti di Benjamin e incitandolo a sfidarlo. Del resto Yul è un robot programmato per mostrarsi aggressivo. Il pistolero teppista che provoca gli altri. Anche se il suo destino è scritto e tutte le volte muore al rallentatore, tanto per evidenziare il concetto di finzione che ormai il far west ha assunto per i contemporanei. Solo che poi un'intuizione narrativa per l'epoca azzardata (quasi un deus es machina), ma rivelatasi ai limiti della veggenza col passare dei decenni, cambia le carte in tavola, la sottile membrana che tratteneva la tensione si lacera e tutto si agita. Compreso il tranquillo sonno di James Cameron.
Un'anomalia che che si origina a Romanworld, si insinua a Medievalworld e si manifesta a Westworld. Un errore di programmazione che nessuno sa identificare, perché ormai queste macchine fanno tutto da sole. Un guasto che si trasmette come una malattia. Un virus.

RoboYul, qui senza nome e quasi senza battute, non cambia carattere. Solo che si trova un'arma autentica tra le mani (chissà perché, diosanto) e un codice alleggerito dalla riga che lo costringeva a perdere i duelli. Il suo scopo rimane quello di scegliere un turista e tormentarlo fino alla risoluzione dello scontro. Lui lo fa prima con James Brolin (che va giù come un sasso, mica al rallentatore.) e poi con Benjamin, reduce dalla scazzottata con bevuta della notte precedente.
L'incedere risoluto di Brynner, reso ancor più terrificante dalla sua espressione robotica e dagli occhi d'argento, è quello di una macchina che sta facendo il suo lavoro, senza scrupoli morali o idee di vendetta. Non ha bisogno di correre, perché la sua visione a grossi pixel è in grado di seguire qualunque traccia e di stanare chiunque. Anche se poi non è capace di individuare un tizio disteso in una stanza piena di robot. Ma vabbè. Il film si presta a queste scelte sbrigative, del resto Chricton aveva un'ora e mezza e non poteva permettersi di fare troppo il precisino.

Non si parla di un argomento così rivoluzionario, si tratta pur sempre delle macchine ribelli. Ma raramente le immagini parlano così chiaro di quello che si intende quando si mette in scena questa paura. Non esseri artificiali che arrivano a rendersi consapevoli, bensì di robot che svolgono il loro compito. Se nessuno li disattiva, questi puntano dritti l'obbiettivo.
Difficilmente ho trovato storie che centrino il punto con tanta efficacia senza perdersi in filosofie sul significato della vita.
Ma parliamo di Michael Chricton, un autore con una certa esperienza in materia. Quando uno ha qualcosa da dire ed è capace di farlo, ci riesce anche attraverso un B-Movie pieno di scelte che non tornano.
Westworld è un racconto che rischierebbe di venire giù se costretto a rispondere alle domande giuste. Ma è così inquietante da non far nemmeno venir voglia di porgliele quelle domande.






Commenti

  1. Il classico che ha fatto scuola ai classici, il secondo tempo poi è uno slasher, uno di quelli fatti bene ;-) Cheers

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    1. Tanta roba davvero. Dentro ci sono già tutti gli anni ottanta.

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  2. Un film che ho apprezzato tantissimo, complice Yul Brinner che secondo me è stato un attore veramente indimenticabile.
    Inutile dire che ha influenzato molte altre pellicole, anche recenti.
    Ti abbraccio.

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    1. Proprio un film simbolo. Grazie a lui la fantascienza ha fatto un bel salto in avanti.

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