Lo spettatore #197- La freschezza: Dellamorte Dellamore (1994)
Il film di oggi è uno dei
tanti treni che ho perso nella vita. Vero è che quando uscì non
provavo grossa curiosità nei suoi confronti. Ma con il tempo
dell'opera ho sentito parlar spesso in termini lusinghieri e un po'
la scimmia mi è salita. Tuttavia tra me e Francesco Dellamorte non è
mai stata cosa. Siamo invecchiati insieme, ma lontani.
Poi, come fosse giunto Babbo Natale direttamente dalla Lapponia, ho trovato il prodotto impacchettato dentro l'offerta dell'ormai famigerata piattaforma satellitare e il grande giorno finalmente è arrivato.
Si aprano i festeggiamenti.
Poi, come fosse giunto Babbo Natale direttamente dalla Lapponia, ho trovato il prodotto impacchettato dentro l'offerta dell'ormai famigerata piattaforma satellitare e il grande giorno finalmente è arrivato.
Si aprano i festeggiamenti.
Dellamorte Dellamore si
presenta come un prodotto davvero strano, fin dai suoi titoli di
testa. La grafica che pare rubata dagli archivi di Don Tonino fa
temere alla messa in scena di una poveracciata in pieno stile anni
ottanta, uscita in ritardo e avvolta dal family feeling dei prodotti
targati B.
Eppure non è così semplice. Seppur assecondando necessità derivanti dalle evidenti ristrettezze economiche, il lavoro di Soavi si mostra ambizioso, spinto da brillanti intuizioni narrative e avvolto da un'atmosfera cimiteriale che gli sta addosso come un guanto.
Tra l'altro lo stile fu uno dei maggiori ostacoli all'amore tra me e la pellicola. A quei tempi non trovavo molto accattivante l'idea della storia romantica immersa nel gotico che pareva emergere dai provini che si vedevano alla televisione. Non che oggi le cose andrebbero diversamente, va detto. Il punto è che questo non è un film di quel genere, anche se il titolo impresso sulla locandina farebbe supporre il contrario.
Eppure non è così semplice. Seppur assecondando necessità derivanti dalle evidenti ristrettezze economiche, il lavoro di Soavi si mostra ambizioso, spinto da brillanti intuizioni narrative e avvolto da un'atmosfera cimiteriale che gli sta addosso come un guanto.
Tra l'altro lo stile fu uno dei maggiori ostacoli all'amore tra me e la pellicola. A quei tempi non trovavo molto accattivante l'idea della storia romantica immersa nel gotico che pareva emergere dai provini che si vedevano alla televisione. Non che oggi le cose andrebbero diversamente, va detto. Il punto è che questo non è un film di quel genere, anche se il titolo impresso sulla locandina farebbe supporre il contrario.
La costruzione della trama
è quantomeno bizzarra. Più che un racconto filante pare di
assistere a una raccolta di episodi legati alla buona. Ma la
sceneggiatura non fa nemmeno finta che ciò le importi. Anzi, gli
scrittori si sono sbizzarriti sfruttando questa strana composizione
per inserire ogni forma di grottesco che venisse loro in mente.
In sostanza ci sono Franmcesco Dellamorte e il suo assistente a gestire un cimitero nel quale i morti hanno il vizio di risvegliarsi. Come fosse la cosa più normale del mondo, questi due si occupano di rimettere ordine dopo averli stempiati per benino. Attorno a questa particolarità si srotolano vicende che finiscono per coinvolgere un protagonista destinato a perdere sempre più velocemente la propria umanità
C'è una forte componente drammatica alla base di questa storia. Ma la forza del film è tutta nell'allegoria che non stempera l'oscurità.
In questo senso il comportamento ondivago degli zombie ha un suo perché. Poco importa che all'inizio grugniscano, che poi dicano solo fame e che in altri casi parlino e si muovano come fossero vivi veri e propri. Siamo di fronte a un horror atipico che funziona, il che non è poco.
Poi, ovviamente, c'è lei.
In sostanza ci sono Franmcesco Dellamorte e il suo assistente a gestire un cimitero nel quale i morti hanno il vizio di risvegliarsi. Come fosse la cosa più normale del mondo, questi due si occupano di rimettere ordine dopo averli stempiati per benino. Attorno a questa particolarità si srotolano vicende che finiscono per coinvolgere un protagonista destinato a perdere sempre più velocemente la propria umanità
C'è una forte componente drammatica alla base di questa storia. Ma la forza del film è tutta nell'allegoria che non stempera l'oscurità.
In questo senso il comportamento ondivago degli zombie ha un suo perché. Poco importa che all'inizio grugniscano, che poi dicano solo fame e che in altri casi parlino e si muovano come fossero vivi veri e propri. Siamo di fronte a un horror atipico che funziona, il che non è poco.
Poi, ovviamente, c'è lei.
Anna Falchi oggi è una
bella signora impegnata nell'intrattenimento rassicurante di Piazza
Italia. All'epoca però Anna Falchi era... beh, era Anna Falchi, una
sorta di divinità scesa sulla terra per tormentare i sogni umidi
degli adolescenti italiani.
Se foste alla ricerca dell'erede di Greta Garbo non è al citofono Falchi che dovreste suonare. Ma se il vostro scopo fosse quello di trapanare lo schermo con un viso indimenticabile e una fisicità straripante (che per altro Soavi non si fa scrupoli a riprendere quasi integralmente) con lei avreste fatto tredici (che a quei tempi valeva ancora un discreto gruzzolo).
Dopotutto anche Rupert Everett serviva a quello scopo, oltre che a omaggiare Tiziano Sclavi, autore del romanzo che quando si inventò Dylan Dog pare pensasse proprio a lui.
Questi due personaggi sono poi controbilanciati da una serie di caratteristi tutto fuorché belli. Dall'incredibile faccia di Francois Hadij-Lazaro, all'onnipresente Stefano Masciarelli alla giovane Fabiana Formica in versione testa zombie, tutti servono a togliere seriosità al progetto.
Il risultato, cosa davvero anomala per me, sono una serie di risate autentiche che arricchiscono la visione in maniera davvero coinvolgente.
Ma anche alcune scelte di regia, come la stanza di ospedale, o narrative, tipo i tira e mola tra Francesco e le tante Anne Falchi della sua vita, restano impressi e già mi fanno venire voglia di far fare un altro giro alla pellicola.
Se foste alla ricerca dell'erede di Greta Garbo non è al citofono Falchi che dovreste suonare. Ma se il vostro scopo fosse quello di trapanare lo schermo con un viso indimenticabile e una fisicità straripante (che per altro Soavi non si fa scrupoli a riprendere quasi integralmente) con lei avreste fatto tredici (che a quei tempi valeva ancora un discreto gruzzolo).
Dopotutto anche Rupert Everett serviva a quello scopo, oltre che a omaggiare Tiziano Sclavi, autore del romanzo che quando si inventò Dylan Dog pare pensasse proprio a lui.
Questi due personaggi sono poi controbilanciati da una serie di caratteristi tutto fuorché belli. Dall'incredibile faccia di Francois Hadij-Lazaro, all'onnipresente Stefano Masciarelli alla giovane Fabiana Formica in versione testa zombie, tutti servono a togliere seriosità al progetto.
Il risultato, cosa davvero anomala per me, sono una serie di risate autentiche che arricchiscono la visione in maniera davvero coinvolgente.
Ma anche alcune scelte di regia, come la stanza di ospedale, o narrative, tipo i tira e mola tra Francesco e le tante Anne Falchi della sua vita, restano impressi e già mi fanno venire voglia di far fare un altro giro alla pellicola.
Io sono tuttora innamorato di lei.
RispondiEliminaConcordo, adoro questo film che mi attirò all'epoca per via di Dylan Dog, ma di Dyd non aveva niente e al posto di rimanerci male (come sarebbe successo altre volte) ne rimasi folgorato.
RispondiEliminaAdoro il grottesco, adoro Soavi (un vero e proprio maestro, artigiano del cinema).
Poi sì, la Falchi top.
Moz-
E' ancora fresco rispetto a tanti prodotti odierni.
EliminaAssolutamente, anche perché tra l'altro di prodotti "di genere" italiani, oggi, così... anhc eun po' grotteschi, non c'è NIENTE.
EliminaMoz-
Ho visto questo film molto tempo fa, perché mi piace Dylan Dog, e anche se non è top al 100% però è divertente, è una chicca da tenere in cineteca.
RispondiEliminaTi abbraccio.
Da conservare e riguardare. E secondo me il fatto che non sia un prodotto top è un vantaggio.
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