Lo spettatore #192- Una strana passeggiata: The Walk (2015)

Mi sono interrogato a lungo dopo la visione di The Walk. Mi chiedevo quale fosse il senso di presentare un impresa iconica come la camminata di Philippe Petit tra le torri gemelle in quel modo e con quella fretta.
Poi ci ho riflettuto sopra e un'idea mi è venuta.
Continuo a coltivare severi dubbi sull'utilizzo della CGI in maniera così preponderante. La tecnologia viaggia veloce e un film che pochi anni fa sembrava un miracolo di fotorealismo, oggi pare un brutto videogioco. Ma Zemeckis è uno sperimentatore, uno di quelli capaci di bruciare milioni di dollari in schede grafiche, quindi nessuna sorpresa nel vedere tanto impegno speso in questa direzione. Dal punto di vista estetico il risultato è altalenante, ma pazienza. Il fulcro della questione è un altro.
Il fatto è che questa pellicola dovrebbe utilizzare i suoi potenti mezzi per raccontare la vita straordinaria di un equilibrista capace di spingersi sempre oltre, anche a costo di infrangere la legge (oltre che se stesso al suolo come un gavettone).
Io dico che non ce la fa e l'utilizzo di una tecnica che invecchia rapidamente è solo il più appariscente dei problemi.
Va veloce l'opera di Zemckis, pure troppo. La scelta di raccontare il percorso formativo di Petit partendo dai suoi esordi costringe il regista a sorvolare sui particolari, disegnando un personaggio che non rimane. E se è così per lui, figurarsi per il resto del cast, che compare come un lampo sulla pellicola lasciando dietro di se un' impalpabilità che non fa mai afferrare il racconto.
La sceneggiatura ci parla di gangsters, visto che si fonda sul concetto di esibizione illegale e lo fa utilizzando lo stile tipico del genere crime. Un'idea che funziona e che da ritmo, ma che si scontra con la nullità della fauna che popola il prodotto. Così non si resta coinvolti dalla passione che dovrebbe animare il progetto di Petit. Non basta vedere sto tizio che ogni tanto sbraita e va fuori di testa. Serve una struttura che qui manca.
Manca anche un pelo di contrasto. Il Petit di Joseph Gordon-Lewitt è un protagonista a cui tutti si accodano, nonostante la sua impresa puzzi di follia lontano un chilometro, con probabili ripercussioni anche per chi lo aiuta
Tutto sembra orientato alle scene finali e alla tensione che dovrebbero provocare. Chiaro, l'esito della questione lo conosciamo, ma comunque il risultato di quelle sequenze è abbastanza buono. Dopo due ore di sonno profondo il regista sveglia lo spettatore con i preparativi sempre al limite della denuncia e una passeggiata che, fatta lassù, in effetti un po' di apprensione la mette. Non durasse una quaresima sarebbe pure meglio. Ma tant'è.
Ma forse è proprio nell'insistenza di quelle scene finali che salta fuori la vera anima del progetto. Perché il protagonista qui, in fin dei conti, non è Petit, né tanto meno i suoi ectoplasmici amici. Sono le Torri. Due palazzi che quando sono venuti giù hanno tolto l'innocenza a un'intera nazione. Certe imprese si potevano apprezzare prima di quell'undici settembre, oggi il mondo è cambiato.
Magari è proprio questo che voleva fare Zemeckis. Omaggiare un'epoca attraverso uno dei simboli più caratterizzanti che oggi non esiste più. Fosse davvero così il lavoro del regista avrebbe qualcosa di romantico.
Ma a me non è piaciuto lo stesso.





Commenti

  1. Da fine anno scorso l'inizio di questo mi sono messo in testa di rivedermi, a cadenza, un po' tutti i lavori del buon Bob. Per esempio questo è uno di quelli che non ho mai visto, ma mi ha sempre interessato.

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    1. Fammi sapere cosa ne pensi. Non ho trovato grossi pareri su questo film. Mi pare piuttosto dimenticato.

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