CDC #182- Devastazione di una mente: Angoscia (Gaslight, 1944)

Chissà quanti soldi poteva permettersi di spendere in cinematografia la MGM nel 1944. Propaganda a parte, naturalmente.
Mi pongo la questione perché il film di oggi è evidentemente uno di quelli costruiti con due dollari. Lo si nota dai pochi interni, dai teatri di posa posticci messi su per gli esterni e dall'essenzialità generale che avvolge l'intera pellicola.
Eppure la storia ci insegna che quando ti devi arrangiare spesso te la cavi meglio. Perché carta e penna si trovano a buon mercato e gli autori bravi esistono eccome.

Ovvio, l'altro lato della medaglia c'è, non si può fingere di non vederlo. Esteticamente Angoscia pare uscire dall'epoca del muto, con quelle luci tagliate, il trucco pesante di Charles Boyer e l'impostazione teatrale che caratterizza la recitazione.
L'opera di George Cukor sente il peso dell'età, inutile che vi venda una bugia. Le transizioni a nero qualcuno le usa ancora, ma sono un espediente brutto da vedere.
Ma a tutto si fa l'abitudine, quindi, al di là dello spaesamento iniziale, la pellicola sa superare gli acciacchi degli anni grazie soprattutto a una sceneggiatura cesellata con classe.  
Cuckor non fa altro che adattare la sua opera alle atmosfere dell'horror psicologico utilizzando il materiale che ha in mano.
La povera Ingrid Bergman convive con un brutto trauma e con un marito che diventa più fastidioso ogni minuto che passa. L'intera storia si basa sulla crescita esponenziale del carattere di lui e sulla distruzione di quello di lei, vittima di un manipolatore che ha cattive intenzioni.
L'unica cosa che non ho compreso bene è se esistesse in origine l'intenzione giocare con l'ambiguità della situazione, in modo da trascinare anche lo spettatore nel vortice di confusione che travolge la protagonista.
Se così fosse, gli anni hanno sgonfiato la tensione, forse perché il tempo ci ha riempito di racconti a incastri e oramai siamo smaliziati. Qui appaiono evidenti da subito le motivazioni di Gregory Anton, così come sono facilmente individuabili i trabocchetti che l'uomo tende alla moglie e bisogna anche fare uno sforzo supplementare per comprendere la donna e non darle della scema. In questo senso la povertà della messa in scena gioca un ruolo.
Quindi ci sta che Cukor non sia Hitchcock (nessuno lo è), ma credo comunque che le intenzioni del regista fossero diverse.  
Il punto di tutta la vicenda qui è mettere lo spettatore nei panni di una donna devastata e questo, seppur a volte attraverso lo sforzo citato sopra, è un obbiettivo raggiunto.
L'immagine si riferisce a una sequenza in cui il livello di imbarazzo, umiliazione e azzeramento raggiunge il climax. Una situazione che arriva a disturbare con tanta eficacia che molti racconti moderni si sognano. Tutta la vicenda è in sostanza un crescendo di fendenti all'anima di Paula che si frantuma davanti ai nostri occhi, sepolta da una fiducia cieca riposta in chi non la merita.
Certo, sul finale qualche forzatura narrativa c'è, tipo la scusa che trova Brian Cameron (Joseph Cotten) per entrare in casa e risolvere la questione. Ma a questo punto siamo già abbastanza scossi da lasciarla passare.
Se tutto ciò non bastasse, poi, ricordiamoci che nel film c'è pure lei.

Per chiudere vi informo che Ingrid Bergman vinse un Oscar per la sua interpretazione in questo film. Se fosse meritato o meno non ne ho idea. Ma a quel tempo quel premio poteva anche avere un senso.
Ovvio, è il 1944 e si tratta di un film girato a cinghie strette, di questo se volete approcciarlo vi converrà ricordarvi. Tuttavia secondo me vale la visione, ancora oggi.




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