CDC #152- I nuovi Visitatori: Captive State (2019)

Signori, una pessima notizia rattristerà molti di voi: Steven Spielberg ci ha sempre mentito. Gli alieni non sono quegli esseri pucciosi dagli occhi grandi che tanta tenerezza hanno suscitato nei cuori dei giovani di tutte le età. Affatto.
Trattasi invece di belve con poteri da istrice, affamate di tutte le risorse che rendono la Terra quella splendida roccia bluastra che si vede dallo spazio e vogliose di instaurare una dittatura per tenerci in un angolo a casa nostra.
Se vi sta bene ok, magari vi lasceranno un simulacro di esistenza. Ma se, come me, siete contro: preparatevi a combattere. Fermiamo l'invasione!
Cominciamo col chiudere gli spazioporti.


Non serve nemmeno che ve lo dica. Nel soggetto di Captive State dimora il temibile Metaforone, creatura mitologica che infesta buona parte della fantascienza. A volte comportandosi come un simbionte e rendendola più efficace, altre parassitandola fino a sfigurarla allo scopo di portare il Messaggio.
Un rischio che Rupert Wyatt corre consapevolmente, inutile nasconderlo. Gli alieni, come i rettili di V, si installano ai posti di potere schiacciando la popolazione senza rispetto. Ci si può trovare l'allegoria del colonialismo europeo, ma anche i metodi delle dittature novecentesche, o ancora il sistema di dominio delle elite finanziarie, che accumulano ricchezze sottraendole a noi bassa manovalanza. Credo sia soprattutto quest'ultimo attacco che interessi agli sceneggiatori, tanto che a un certo punto della presentazione specificano che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Cosa totalmente priva di senso all'interno di una trama come questa, ma tant'è.
Insomma, ce ne sarebbe per buttare giù due ore di lotta politica. Ma per fortuna il regista si ricorda di non avere per le mani un documentario e decide di mettere in scena un film.
Sempre che andare a spasso con la macchina a mano disturbando notevolmente la digestione dello spettatore possa essere definito fare un film. Ma non voglio soffermarmi troppo sullo stile. Captive State è del 2019 e sappiamo che, oggi come oggi, il cinema si fa così. Meglio prendersi una pastiglia per il mal di mare e accettarlo. Anche perché qualcosa che brucia tra le braci in questa pellicola esiste.
La tensione, ad esempio, costruita con diligenza e capace di sfogare in un'azione ben calibrata e non troppo confusa. Tutto immerso in un'atmosfera sporca, utile a creare l'idea di un mondo devsatato dagli attacchi alieni e dalla guerra civile.
Per di più gli ET si vedono poco ed è una scelta azzeccata, perché se no sarebbe stata tutta una cosa in CGI che avrebbe reso Captive State antico già oggi. Qualche mostro in penombra, un paio di istrici, delle strane cose esagonali e basta. Il materiale utile testare il PC nuovo.
Ma la vera differenza tra una storia e la propaganda è nei personaggi. Sarebbe stato seducente mettere su il classico scontro tra buoni umani e cattivi istrici. La scelta di infilare nel mezzo la categoria dei collaborazionisti offre invece a Wyatt l'occasione per poter stratificare un attimo il suo racconto. Certo, sempre nei limiti che un buon film d'azione è disposto a tollerare. Ma comunque qualcosa c'è.
Questo qualcosa è in realtà un attore che prende il nome di John Goodman, uno che sta in testa a qualsiasi tipo di classifica vi possa venire in mente. In mezzo alla fauna scelta dal direttore del casting, Goodman è indiscutibilmente la figura di riferimento. Wyatt lo sa e gli affida il personaggio più complicato, quello che gioca su tutti i tavoli e probabilmente anche colui a cui toccano le scelte più complesse.
Ecco, se volete un vero motivo per guardare Captive State direi che John Goodman potrebbe esserlo.
Anche perché se siete appassionati di fantascienza pura forse potreste trovare opere migliori altrove e non necessariamente nel mondo dell'alto budget. Qui abbiamo una storia che vorrebbe affiancarsi ai lavori di Blomkamp, tanto per citarne uno. Uno di quei racconti nei quali se al posto degli alieni ci fossero i vichinghi, per dire, non credo noteremmo la differenza. Un lavoro popolato da gente anonima e nemmeno troppo capace di farci provare qualcosa per il suo protagonista, qui portato in scena da Ashton Sanders.
Ma Goodman è presente. Tanto basta per stare al gioco e dare un'occasione a Captive State.
State a vedere che magari vi piace.



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