Iuri legge per voi: La Parola Ai Giurati (12 Angy Man) di Reginald Rose

 Per un attimo ho quasi voluto crederci. All'inizio di questa emergenza sanitaria pareva che finalmente si fosse trovato un sistema per rendere meno tossica la frequentazione del web. Con i complottisti e le rock star prestate alla politica messi all'angolo, le idee per una rinascita ben strutturata sembravano emergere dalle strade infettate.

Poi però il mondo è andato avanti. I flash mob dai balconi hanno rotto i coglioni e ci siamo resi conto che questa non è una breve parentesi, ma una nuova normalità cadutaci addosso e destinata a durare un tempo indefinibile.

Da bravi umani ci siamo adattati e le varie abitudini si sono impossessate di noi con la ferocia di sempre. Così i fabbricatori di bile si sono rimessi in moto mettendo sotto gli occhi dei disorientati cittadini le solite stronzate, rilanciati da sciacalli capaci di speculare su qualunque cosa pur di rimettersi al centro della stanza.

Del resto è facile cascare nella semplificazione e lasciarsi sedurre da narrazioni banali di varia natura. Anche se la decodifica della realtà è alla portata di tutti, facilitata da fonti e prove analizzabili in qualsiasi momento. Oggi come oggi non è certo il tempo che ci manca.

Basterebbe solo la voglia di parlarne un po', come direbbe il giurato numero otto.


La Parola Ai Giurati (12 Angry Man, il significativo titolo originale) non è un romanzo ma una sceneggiatura. Scritta da Reginald Rose pensando alla televisione è passata per il cinema, trovando nei teatri la propria collocazione ideale grazie a una scenografia essenziale e alla possibilità di giostrarsela interamente in una unica stanza.

Siamo al termine di un processo che vede imputato un ragazzo latino-americano accusato di aver ucciso il padre. Non sappiamo come si è svolto il procedimento, tuttavia gli indizi e le prove a carico del giovane paiono schiaccianti. Tanto che i dodici giurati chiamati a deciderne la sorte entrano nella stanza apparentemente sicuri di sbrigarsela in fretta. Ma quando uno di loro, il numero otto appunto, decide di voler almeno discutere un po' di quello che è successo, tutto il palco inizia a cedere.

La formula che deve uscire da quella stanza è non colpevole, oppure colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Ed è proprio in quei dubbi che si insinua il nostro, dimostrando quanto le prove, che sembravano così evidenti, in realtà non siano sufficienti per mandare sulla sedia elettrica qualcuno. Con un'operazione di persuasione basata sui fatti, l'ottavo giurato smonta le certezze di quasi tutti gli altri. Finendo per scoprire che molte di esse si fondavano su pregiudizi.

Undici di quei dodici uomini erano pronti a mandare a morte un ragazzo solamente per placare la loro frustrazione. E lo volevano fare in fretta, per arrivare in tempo a una partita di baseball magari, o per riuscire a cenare in santa pace.

Trattandosi di una sceneggiatura, tutto il racconto si fonda sui dialoghi, il che fornisce alla storia un ritmo forsennato. Anche se, ovviamente, il modo migliore per gustarsi la vicenda è dalle sedie di un teatro o davanti al celebre film di Sidney Lumet.

La capacità di Rose di tratteggiare i vari umori dei personaggi attraverso il loro linguaggio, i toni della conversazione e le loro reazioni, riesce a costruire dodici personalità differenti. Dimostrando, forse, che alla fine quasi nessuno riesce ad arroccarsi su posizioni predefinite quando esiste un serio dibattito. Perché ognuno può venir toccato dalla vicenda in qualche modo. Nessuno dice che l'imputato è un tipo simpatico. Diamine, nessuno è davvero convinto della sua innocenza se è per questo, nemmeno il numero otto. Eppure, parlandone e analizzando razionalmente il materiale a disposizione, nessuno può onestamente dire che sia colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Tranne chi, chiuso nella propria bolla, decide che quello è un colpevole a prescindere, al di la di come si siano svolti i fatti. Ma è una minoranza, destinata a gettare la spugna schiacciata dalla chiarezza e dalla limpidezza di un'analisi precisa e puntuale.

Se decidessimo tutti di parlarne un po' quando vediamo certe bestialità su internet, magari i social network non sarebbero quei bidoni dell'immondizia che consociamo oggi. A molti di noi basta dare le motivazioni giuste per scoprire il gusto della discussione. Così anche gli urlatori astiosi che invadono il web finirebbero schiacciati dalla magia del ragionamento.

E poi c'era una marmotta che incartava il cioccolato.


Commenti

  1. I socialcosi hanno solo dato voce agli urlatori, per fortuna abbiamo belle opere come questa dove si può ancora credere nell'umana razza, anche se solo nella finzione. Cheers

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    1. Sperando che non rimangano chiuse li le nostre speranze.

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  2. Nel cinema americano, anche nella sua rappresentazione migliore, il bene e la verità vincono sempre.
    A quanto pare, nella realtà le cose vanno diversamente nonostante "la magia del ragionamento".

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    1. Ci accontentiamo delle storie e non ci interessa la Storia. Siamo una specie strana.

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  3. A me spaventa anche il contrario, ossia la tribuna popolare che più o meno dal 2002 accusa o assolve i colpevoli in TV, coi loro veri gialli finiti nei dibattiti.
    Interessante quest'opera, sicuramente intelligente e intrigante.

    Moz-

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    1. La TV è maestra nel polarizzare le coscienze. Ma i social hanno dato voce a tutti, purtroppo.

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  4. Un sogno, effettivamente, che si possa parlare delle cose con gente frustrata (i troll odierni)! Bello l'accostamento tra gli internauti e 12 Angry Men!

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