CDC #94- Il sapere nei numeri: Segnali Dal Futuro

Alex Proyas è uno che in carriera un paio di colpacci li ha messi a segno. Roba come il Corvo o Dark City, cinema magari non assimilabile ai capolavori della storia, ma sicuramente capace di conquistarsi un posticino tra i divi del cult.
Mi sono sempre chiesto come mai di un regista con prodotti così validi all'attivo abbia sempre sentito parlare poco.
Beh, mi sa che ho trovato una risposta soddisfacente.


Segnali Dal Futuro si inserisce in quella nicchia di fantascienza un po' farfallona che vuole parlare di ogni riflessione appartenente allo scibile umano e poi affida tutto il discorso a uno come Nicolas Cage. Fatalismo, determinismo, scienza, religione, destino, numerologia. Ogni cosa qui viene trattata con l'intenzione di spargere il dubbio, lasciare una porta socchiusa, spingere lo spettatore ad andare oltre la semplice fruizione dell'opera.
Mi piace questo atteggiamento, lo sapete. Ma Nic è uno che, nel bene o nel male, si prende l'occhio della telecamera e lo seduce in maniera del tutto personale, diventando, di fatto, l'unico ricordo che il film si porta dietro.
E' balordo Cage, inutile negarlo. Secondo alcuni il suo modo di andare sempre sopra le righe ne determina la cifra stilistica. Non mi intrometto nel discorso, ma di sicuro la sua presenza incide in modo soverchiante nella resa finale del prodotto. Dopo di che, oltre a lui cosa resta?
Rimane una pellicola che ci prova in tutti i modi. Tenta di prendervi con il gusto vagamente horror del mistero. Oppure cerca di conquistarvi attraverso l'utilizzo spinto della CGI, così da far salire l'adrenalina. La butta sulla strage, che è sempre argomento affascinante.
Vi sballotta a destra e a sinistra ancorandosi su una storia di profezie, alieni, forse angeli. Fonde i precetti religiosi (più che altro cristiani) con le certezze scientifiche. Mette in primo piano il faccione di Nic e lo circonda di caratteristi un po' così.
E' un film in cui si parla, ma davvero tanto. In cui si spiega, forse persino troppo. Un film dalle grande ambizioni, dal ritmo altalenante e da una personalità forse non completamente formata.
Certo, doversi interfacciare col bimbetto non aiuta. Povero piccolo, scelto forse perché possessore di un faccino da cinema, ma clamorosamente incapace di esprimere sentimenti.
Diamine, in quell'ultima scena in cui compare, un momento che dovrebbe fratturare il cuore per la sua intensità, butta giù una recitazione talmente maldestra che il buon Cage in confronto sembra quasi trattenuto. Male, ma proprio male male male. Molto meglio la piccola collega, a questo punto, che piazza li una faccia di ghiaccio e la tiene per tutta la durata della sua apparizione.
Insomma, al di la delle intenzioni, questo lavoro si avvicina parecchio al trash involontario. Un rischio che ci si prende consapevolmente quando si assume Cage senza affidargli un personaggio in linea con i suoi eccessi recitativi. Ma anche quando si decide di affrontare un ventaglio di argomenti così diversi tra loro senza legarli attraverso una personalità decisa che faccia da collante.
Knowing i suoi momenti li ha, non lo metto in dubbio. Ma, se lo guardo interamente, vedo un film il cui ricordo svanirà nel nulla più assoluto.
Comunque sia, ciao.

Commenti