CDC #93- Un romanziere dietro la macchina da presa: L'Uomo Del Labirinto

Mi piacque il primo approccio di Donato Carrisi al mondo del cinema: un noir montanaro non privo di qualche trovata suggestiva, ma rigoroso nella forma e nella sostanza.
Così non ho dubitato quando c'è stata l'occasione di dare una seconda possibilità allo scrittore/regista italiano. Stavolta però mi sono trovato di fronte a un'opera differente, nella quale la mano dell'autore si sente un filino di più.
Tipo la pacca sulla spalla che vi mollerebbe il vostro amico rugbista di centocinque chili, ecco.

A 'sto giro Carrisi vira nel surreale, ambientando la sua storia in una megalopoli che potrebbe trovarsi in qualunque punto del globo e in qualsiasi tempo. Automobili anni ottanta, registratori a nastro magnetico, poliziotti che sembrano usciti da un telefilm americano dei settanta, targhe italiane, monitor a tubo catodico e telefonini di ultima generazione: tutti elementi che convivono dentro una storia priva di coordinate precise, immersa in colori accesi e contrasti decisi, fatta di luoghi fortemente caratterizzati e recitazione molto marcata.
In alcuni momenti queste scelte così nette mi hanno ricordato Lynch, ma senza la visione onirica del regista americano. In altri ho pensato al primo Dario Argento.
Carrisi però è un giallista e, come tale, non riesce a rinunciare al rigore dell'indagine. Laddove il classico giallo all'italiana se ne fregava abbastanza della coerenza narrativa per lasciar fare tutto alla telecamera, qui ci troviamo di fronte a una storia scritta per avere nella logica il suo fulcro, ma infilata dentro a un universo fumettistico che non sembra volerla abbracciare fino in fondo.
Stride il contrasto, difficile non notarlo.

E' vero. La storia che seguiamo è come coperta da una tendina da doccia, che Carrisi sposta con un colpo di scena finale piuttosto riuscito, ma non abbastanza soddisfacente da convincerlo a rinunciare alla didascalia.
Laddove qualcuno avrebbe utilizzato un paio di inquadrature lasciando al pubblico l'onere di interpretarle, Carrisi mette in scena un epilogo oblungo che va ben oltre quella che sembra la conclusione ideale della storia.
Ancora una volta si scosta dal surrealismo puro e semplice, preferendo una quadratura precisa al rischio di gettare confusione sullo spettatore.
Poi, volendo, c'è tutta una serie di messaggi celati che i più smaliziati potranno divertirsi a decifrare. Numerologia, simbolismi, trasmissioni radiofoniche. La Sin City di Carrisi rischia di essere una miniera per coloro i quali si dilettano nella decrittazione esoterica.
Certamente un giochino che appassionerà qualcuno, ma che non serve a donare l'immortalità a un film che sostanzialmente non pare sapere esattamente cosa essere.

Surrealismo e credibilità si scontrano facendo scintille, ma senza accendere davvero il fuoco che potenzialmente riposa alla base del racconto. Magari leggerò anche il romanzo, tanto per capire se nel passaggio qualcosa è andato perso.
Attenzione: L'Uomo Del Labirinto non è esattamente un brutto film. Si lascia seguire bene, sa colpire le menti e gli stomaci più predisposti, diverte. In più è audace, qualità che serve come il pane nel nostro cinema.
Solamente non sembra riuscire a mettere d'accordo le sue anime.
Si sente il rumore dell'impatto.
Come quando l'amico rugbista schianta la manata sulla clavicola. Mica ve la spezza. Ma la sensazione è quella.

Commenti