CDC #77- Repliche o replicanti?: Automata
Androidi consapevoli,
città giganti infestate dall'inquinamento e popolate da immensi
ologrammi, investigatori alla ricerca di macchine anomale.
Ho come la sensazione che
a qualcuno fischino le orecchie.
Si perché se Automata ha
un difetto (e ce l'ha) è quello di essere talmente ispirato ai
classici del genere da non riuscire a distaccarsene quasi per niente.
Intendiamoci, a me queste
storie sull'intelligenza artificiale e sul futuro distopico piacciono
anche. Ma mi rendo conto di come l'argomento stia giungendo al caffè.
Seguire l'avventura di
Vaucan-Banderas e la sua interazione con gli androidi senzienti mi
suona come una canzone che so a memoria. Non brutta probabilmente, ma
talmente passata dalle radio da diventare nauseante.
Automata vuol essere una
sorta di colossal iberico, con grandi scenografie in CGI, suggestioni
da cinema di genere e attori di un certo peso ad arricchire il
contesto.
Ma riesce solo a
tramutarsi in un Blade Runner di riporto, senza la capacità di
affondare la sua narrativa nel complesso argomento della IA
estraendone qualcosa che valga davvero la pena di essere analizzato.
Siamo alle solite: umanità
alla fine del percorso, droidi intelligenti, copertura
multinazionale. Senza lasciarsi scappare l'occasione di definire i
robot molto più umani degli umani, che non si sa mai.
Insomma una fila di
argomentazioni talmente bolse da invogliare il pubblico a lasciar
perdere.
Se ciò non succede è per
via di una realizzazione tecnica tutto sommato accettabile. Nulla che
faccia gridare al miracolo estetico, per carità. Tuttavia la solita
città circondata dalla baraccopoli è credibile (seppur in linea con
le varie controparti americo-giapponesi che già si son viste sullo
schermo), l'ambientazione urbana ha la giusta colorazione noir e il
deserto ha un senso.
Diciamo che se fossi
vissuto in una scatola per quarant'anni e Automata fosse il primo
film di questo tipo che mi capita davanti, beh, nel complesso non
sarebbe malaccio.
L'opera di Ibañez
funziona in termini di ritmo, scorre via con la giusta rapidità ed è
pure capace di costruire tensione nei momenti più corretti. Vedere
il droide con la faccia di Melanie Griffith riuscita male (non è
lei, non mi convincerete mai di questo) sparire dalla scena in quel
modo è l'esempio perfetto per capire come la sceneggiatura sappia
spiazzare quando vuole.
Ma il fatto è che le
leggi della robotica di Asimov, il futuro folle di Dick e la distopia
di Orwell sono già passati fin troppe volte dall'arte dei
cantastorie.
Conoscere a menadito le
svolte narrative di un film alla prima visione è un po' demotivante.
Per di più senza che lo stesso si lasci dietro qualche riflessione
innovativa sul tema.
Insomma, probabilmente c'è
molta più distopia cibernetica nell'attuale Cina che in questo
lavoro di Ibañez. Il futuro mostratoci dal regista spagnolo è così
ripetuto da essere quasi passato. Un omaggio ai classici fin troppo
rispettoso per valere la visione.
Si farà dimenticare in
fretta.
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