CDC #72- Sangue tra le principesse- Tonya
Dev'essere che uno si
immagina il pattinaggio come una disciplina popolata da principessine
svolazzanti. Quindi, quando nella cronaca irrompe una vicenda come
quella di Nancy Kerrigan, il contrasto le permette di varcare
l'oceano e piombare anche nelle nostre lande, con tutto il codazzo di
indignazione che ne consegue.
Me lo ricordo bene il
fatto. Così come non posso dimenticare quelle lontane olimpiadi
norvegesi, quando tutta la popolazione mondiale si turò il naso e si
sorbì la trasmissione del pattinaggio solo per sentirsi vicina a
Nancy e ricoprire di insulti quella strega di Tonya.
Era un fatto: quando il
clamore si spense per lasciare spazio ad altre notizie, tutti se la
sono messa via con una certezza: quella vicenda aveva la sua
colpevole.
Dopo vent'anni abbondanti
dagli avvenimenti, ecco un film che riporta tutto quanto al centro
dell'attenzione. Sarà giunto il momento della redenzione per la
ragazza?
Forse, anche se a me non
sembra così importante.
Perché l'idea di Craig
Gillespie non è quella di costruire un biopic investigativo che
possa mettere un punto alla vicenda. Anzi. Il regista ci presenta da
subito tutti i personaggi di questa storia facendoci capire che
ognuno ha da fornire la sua versione dei fatti.
L'intera narrazione è
basata sulla destrutturazione della verità. Qui nessuno è onesto
fino in fondo e la bellezza del racconto sta nel modo in cui tutte
queste realtà vengono mischiate quasi a diventare un corpo unico.
Se esiste per davvero un
epilogo diverso da quello sancito dai tribunali non è qui che lo
troveremo. Ma, fidatevi, alla fine della visione non sarà nemmeno
quello che ci interesserà sapere.
Perché I, Tonya è una
storia di personaggi. Mentecatti, come qualcuno li chiama all'interno
della pellicola stessa, ma comunque indelebili.
Gillespie ci racconta la
vita di Tonya Harding partendo dall'infanzia e da una madre
anafettiva e crudele, per passare a un'adolescenza vissuta senza la
consolante figura paterna, fino al momento del matrimonio con un
marito fallito e manesco.
Ma soprattutto descrive
bene l'impatto della provincia spenta e senza prospettive con il
mondo del successo, qui rappresentato dal pattinaggio artistico.
I, Tonya è un turbine di
messaggi integrati alla trama. Si parla di scarso senso di
responsabilità, alienazione da vite vuote, abbattimento di
convenzioni sociali. Il tutto dentro a un film che tiene ritmi
vertiginosi e sa divertire e amareggiare in egual misura.
Tonya Harding non colpiva
certo per il suo fascino. Una vaga bellezza grossolana, spesso in
contrasto con le fatine del suo mondo, faceva da contorno a un'atleta
potentissima ma assai poco leggiadra.
La scelta di chiamare
Margot Robbie, fresca fresca della versione super sexy di Harley
Queen, poteva sembrare una concessione eccessiva ai canoni estetici
della collina. Invece le magie del trucco e un'interpretazione
eccelsa ci donano un personaggio che rimarrà a lungo nel cuore.
Ben lungi da mostrarcela
con l'aureola dei santi, la Tonya di Margot è una donna piena di
contraddizioni. Determinata, certo. Ma anche incline a mollare tutto
se le cose non vanno bene. Incapace di guardare dentro se stessa fino
al punto di scovare i propri difetti, spesso cerca di scaricare su
altri fattori le responsabilità che le appartengono. Non è colpa
mia, ripete in continuazione.
Margot regge il film come
solo i grandi attori sanno fare, scacciando l'immagine di bella e
fotogenica figliola, per sostituirla con la sua essenza di artista
che tiene il futuro per le palle.
Ma se è vero che Robbie
ruba l'anima alla telecamera, non si può non notare le spalle
perfette dalle quali è circondata.
I mentecatti si diceva.
Personaggi così estremi che sarebbero potuti diventare ridicoli
dentro una recitazione sovraccarica, mandando gambe all'aria tutto il
progetto. Invece risaltano nela loro umanità. Sono tutti pieni di
errori in quelle teste. Ogni scelta che fanno è sbagliata, ogni
decisione che prendono si trasforma in un disastro. Eppure non si
cade mai nella commedia becera, perché tutti portano con se
qualcosa.
Chiaramente se il livello
delle prestazioni si attesta su medie così elevate un po' di meriti
il regista li deve avere.
Craig Gillespie mette
insieme l'opera andandoci con mano decisa, senza rinunciare a guizzi
artistici o alla propria personale visione. Ma non diventa mai
eccessivo. Anzi la sua messa in scena aggiunge bellezza a un racconto
già ottimo di suo. Il falso piano sequenza che esce che si allontana
dalla casa, per esempio, credo rimarrà a lungo nella mia memoria.
La scelta di utilizzare
interviste d'epoca interamente rigirate è una mossa astutissima. In
un solo colpo ci porta nel contesto storico, dona naturalezza e
realismo alla storia e ci mantiene legati ai personaggi che vediamo
sullo schermo. Del resto, se non erro, proprio dalla visione dei
filmati originali Gillespie ha trovato ispirazione.
Ma soprattutto, una volta
di più, con questa decisione il regista aggiunge l'ennesima
menzogna. O una nuova versione della verità, se preferite.
Perché dentro I, Tonya
tutto è bugia. Ma allo stesso tempo nulla lo è. Potrete stare delle
ore pensando a quanto il conformismo abbia stroncato la carriera di
Harding. Oppure potete riflettere su come lei potesse scegliere
semplicemente di giocarsela secondo le regole. Magari sapeva
dell'aggressione. Magari no.
Il film non prende
posizione su questo e nemmeno instrada lo spettatore verso qualche
conclusione.
Semplicemente ci racconta
come sono andati i fatti secondo chi li ha vissuti, trasformando uno
degli episodi più brutti del mondo dello sport in una storia di
persone con le quali chiunque può empatizzare. Tanta roba, secondo
me.
Poi potete anche decidere
di non vederlo perché, che ne so, il pattinaggio con tutte quelle
principessine svolazzanti a voi non interessa. Ma vi perdete un pezzo
importante.
Voi fate come volete.
Io vi porgo i miei più
cari omaggi.
Grazie per la visita!
RispondiElimina