I cimeli del cinema #7: The Circle

Come in un moderno 1984 (ma con molta
meno preveggenza) The Circle cerca di mostraci dove potrebbe portare
l'attuale tendenza di un'umanità ormai quasi interamente sedotta
dalle tecnologie digitali.
Le questioni messe in ballo dal film
sono molte e interessanti. Su tutte si staglia una domanda: vale la
pena di rinunciare alla privacy in nome della trasparenza e di una
società ripulita dalle nefandezze? Certo, l'incubo delle microcamere
sparse in ogni dove è piuttosto sentito e pensare di affidare questo
nuovo Grande Fratello nelle mani di società private, intenzionate a
possedere i dati sensibili di tutti quanti, ha implicazioni
agghiaccianti che la pellicola fa poco per smontare.
Ma per approfondire la filosofia alla
base del film vi lascio nelle mani di un esperto molto più
qualificato di me:
Sono andato un po' a spasso per
l'internet a cercare confronti con le opinioni altrui. Ho trovato chi
ne difende la prima parte e chi salva qualche momento sparso lungo la
visione. Tuttavia il grosso dei pareri non si scosta molto dalla
definizione di brutto. Ora, sarà che la mia predisposizione per il
distopico funziona da filtro, ma secondo me questo film non è
affatto brutto. E' terribile.
Mae Holland, ragazzotta di campagna
determinata a cercare il lavoro capace di farla svoltare, si trova
proiettata all'interno di un'azienda moderna e ipertecnologica,
all'interno della quale la produttività viene incentivata attraverso
il benessere dei dipendenti. Tutto luccica dentro Goog... (ehm) The
Circle e ogni parola dei fondatori sembra destinata a rimanere come
il verbo di un profeta.
Ma non è così facile accettare i
metodi invasivi di un social network deciso a possedere i metadati di
chiunque e la semplicità con cui è stata educata Mae rischia di
essere messa a dura prova.
Se avete visto il film, vi renderete
subito conto che quanto scritto qui sopra non corrisponde
necessariamente al vero. E' più che altro una descrizione degli
intenti che hanno mosso gli autori.
In realtà Mae (Emma Watson) più che
un personaggio combattuto e complesso a me è parso solo scritto
male. L'interpretazione di Hermione non mi ha aiutato atrovare il
conflitto interiore che sconvolge Mae. La giovane amica di Potter si
è trovata costretta a sovraccaricare il suo personaggio nel
tentativo di stare dietro alla schizofrenia da cui è colpito.
Del resto Mae non mette insieme la A
con la B, in una scena si comporta in un modo e in quella successiva
si contraddice, difficilmente si riesce ad afferrarne i pensieri:
insomma non si capisce minimamente chi sia veramente e questo, data
la sua funzione di spirito guida all'interno dei meandri della
società 2.0, francamente mi ha messo addosso qualche fastidio.
Se a tutto ciò ci aggiungiamo la
briscola di un finale per nulla chiarificatore è ovvio che qui non
si sia riusciti nell'intento, qualunque esso fosse.
Ora, io sono un po' tordo, non fatico
ad ammetterlo e se non ho qualcuno vicino che mi spiega le cose è
facile che non ci arrivi. Sto giro sono andato al cinema da solo e
non ho goduto di tale privilegio. Quindi sono uscito dalla sala con
un dubbio: cosa significano le scelte operate dagli autori? La voglia
di rispondere “niente” è forte, ma voglio dare la possibilità a
qualcun altro di fendere la nebbia con una luce speciale di cui ho
molto bisogno. Dico a a te caro lettore (se esisti ovviamente), se
ritieni di essere quella persona accendi i tuoi fari e scrivi qui
sotto la tua interpretazione.
Vi concedo la possibilità che questi
problemi li abbia riscontrati solo io. Ci sta. Tuttavia secondo me
rappresentano un peccato nell'economia di una pellicola che qualche
carta da giocare l'aveva pure.
Infondere l'inquietudine durante la
presentazione di un nuovo prodotto potrebbe non essere stata una
grande fatica, visto che certi eventi a me mettono disagio anche
nella realtà. Tuttavia vedere l'esaltazione del pubblico di
dipendenti di fronte alla nuova idea tecnologica del capo, mi pare un
buon modo di richiamare i due minuti d'odio scatenati dal partito
contro Goldstein.
L'obbligo morale di gettare in pasto al
social network ogni propria azione toglie il respiro. Nella
cordialità quasi cibernetica delle persone all'interno di un'azienda
in cui tutti si conoscono senza essersi mai visti, rivive quel Mondo
Nuovo di cui Huxley fu preciso narratore. La scelta di affidare a un
attore rassicurante come Tom Hanks un ruolo in stile Steve Jobs
(somiglianze non casuali secondo me), ovvero un moderno guru
dell'informatica con un apparenza molto diversa dalla sostanza, mi è
apparsa vicina alla perfezione.
Insomma, la presentazione di questa
ambientazione offre al pubblico un sacco di potenziale, anche se
servito su di una prima parte del film davvero scadente nei ritmi.
Eppure, quando l'azione sale si sente
la mancanza della vera sostanza narrativa. Quella che avrebbe dovuto
portarci la protagonista con il suo ruolo da insider.
Ponsoldt muove bene il suo materiale,
dandoci l'illusione che il tempo inizi a scorrere per regalarci
qualcosa che sia intrattenimento e riflessione. Ma si perde nel
bicchiere d'acqua filosofico che in realtà è il vero punto di forza
della distopia.
Forse con decisioni meno elaborate ne
sarebbe venuto fuori un lavoro meno sfumato ma più godibile. Ma io
non sono qui a giocare con i se e i ma. Ormai il film è fatto e
quindi bisogna vederselo così.
O meglio, voi dovete vedervelo così,
perché a me una volta è anche bastata. Ciao.
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